Lampedusa e Tarifa, Ceuta e Melilla: disperazione e speranza camminano insieme
Tarifa è una “cugina prossima” di Lampedusa. Situata sulla punta meridionale della Spagna, ad appena 9 miglia dalla costa del Marocco, non può che costituire una distanza davvero allettante per chi l’Europa può vederla a occhio nudo dalla costa marocchina e desidera, o è costretto, a intraprendere il viaggio in mare. Da mesi, o meglio da anni, un numero crescente di migranti sta sfidando le acque del Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste sud del continente europeo, non solo dell’Italia ma anche della Spagna. Non sorprende che la rotta verso Tarifa sia condotta anche su inconsistenti gommoni, piuttosto che attraverso grandi pescherecci da traino, che passano inosservati alla rete di telecamere a infrarossi termici installate lungo tutto litorale spagnolo. Si tratta della risposta alla decisione della Spagna di aumentare le pattuglie di controllo nelle acque al largo dell’Africa occidentale, tagliando la rotta per le Isole Canarie, nell’Oceano Atlantico, per molti anni il principale punto di ricezione spagnolo del traffico di migranti. L’impatto è stato immediato: nel 2006, un record di 39.180 persone hanno raggiunto la Spagna dal mare. Lo scorso anno il totale è stato di 3.804, però si nota che gli sbarchi sono aumentati proprio nel transito attraverso lo Stretto di Gibilterra.
Tanto a Lampedusa quanto a Tarifa i migranti attraversano il mare. Disperati richiedenti diritto di asilo o semplici (si fa per dire) profughi che non scappano da persecuzioni individuali ma dalla guerra, dalla miseria, da una vita ritenuta non degna.
Esistono poi due casi “eccezionali” in cui è l’Europa a essere rimasta in Africa. Ancora. Ceuta e Melilla sono, infatti, due enclave spagnole in territorio marocchino, entrambe protese lungo la costa, ed entrambe divise da una frontiera: Spagna (e Unione Europea) da una parte, Marocco dall’altra. Vecchi possedimenti coloniali mai abbandonati, perché ritenuti di rilevanza strategica per lo Stato di appartenenza. Una situazione analoga a quella di Gibilterra, l’enclave britannica in territorio spagnolo, di cui Madrid però non esita con una certa dose di ipocrisia a chiedere la cessione di sovranità. Anche a Ceuta e a Melilla i migranti, provenienti non solo dal Marocco ma dell’intero continente africano, tentano con ogni mezzo di attraversare gli unici confini terrestri posti tra Africa ed Europa, e difesi con una doppia barriera metallica alta da 4 a 6 metri e lunga 9,7 Km intorno a Ceuta e 8,2 Km a Melilla. Come immaginabile, è strettissimo il giro di vite che ruota attorno ai migranti che premono sulle città del nord del Marocco più vicine alla Spagna, specie a Ceuta, situata a poco più di 40 Km dall’andalusa Algeciras, sulla costa meridionale spagnola. Ma anche a Melilla la situazione non è meno incandescente: il mese scorso trecento persone sono penetrate nella sezione europea della città dopo aver abbattuto la tripla recinzione e aver schivato la carica della polizia, lasciando sei agenti feriti. Nel 2012 si conta che 2841 immigranti sono entrati nelle due enclave spagnole nei modi più disparati, anche nuotando lungo la costa e superando i reticolati, oppure nascosti nelle auto.
Come raccontaHelena Maleno, che lavora per Caminando Fronteras, “dalla fine di luglio, le autorità marocchine hanno sostanzialmente cacciato gli immigrati clandestini presenti nel nord del Paese. Questa repressione ha portato i migranti a un tale livello di disperazione che sono disposti a imbarcarsi su qualsiasi mezzo di trasporto, anche totalmente inadeguato”.
Tuttavia non sono solo i migranti ad avere problemi ad entrare nelle due enclave: pure i marocchini devono avere il visto per accedere alle città e soltanto gli abitanti delle zone limitrofe hanno speciali permessi di accesso.
Un’ulteriore testimonianza che i fili spinati o gli accordi con le polizie locali per intercettare la partenza dei barconi non costituiscono deterrenti sufficienti a fronte della disperazione e della morte certa; la speranza di una vita migliore, individuata nell’Europa, ha spesso la meglio. Se le politiche statali e intergovernative del continente europeo hanno delineato il Mediterraneo come un limite territoriale, un fronte divisorio tra Stati e continenti, anziché coglierne l’opportunità di farne uno spazio di incontro e di scambio e arricchimento reciproco per dare soluzione a questioni che riguardano entrambe le parti (un continente europeo vecchio che necessita di forza lavoro nei campi, nell’assistenza domiciliare ad anziani e infermi) e un continente africano che ancora anela a un effettivo sviluppo, e che questo sia sostenibile.
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