L’ALTRA FULVIA. “Fenoglio ritrasse mia madre nel libro Una questione privata”

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TORINO. «Doveva essere il 1960, tutt’al più il 1961, quando mia mamma Gigliola andò ad Alba a trovare i nonni. Era sposata, noi figli eravamo già nati. Nella città delle Langhe, proprio davanti al portone della loro casa, in via Roma 14, incontrò Beppe Fenoglio. Si salutarono. Poi lui le disse: “Gigliola, ho scritto un romanzo ispirandomi a te, tu sei la protagonista di un romanzo che ho scritto”». A raccontare è Corrado Franco, regista cinematografico, figlio di Gigliola Carusi Franco, poetessa, giornalista, autrice di teatro e insegnante, morta a 88 anni a Torino nel febbraio scorso, lo stesso mese in cui, nel 1963, morì Fenoglio. Scomparsa la madre, della quale ha pubblicato i versi nel 2011 facendosi editore in proprio per quel solo libro, Non sono poesie, e venuto meno il suo desiderio di non divulgare i “segreti” che la legavano allo scrittore, Corrado rompe il riserbo. Adesso li può svelare. Gigliola era la Fulvia di Una questione privata.
L’altra Fulvia almeno, perché nel personaggio del libro si è identificata anche la signora Benedetta “Mimma” Ferrero, che vive a Roma da molto tempo. Nel romanzo, uscito postumo nel 1963, è narrata la storia dell’amore del partigiano Milton, lo stesso Fenoglio, per una ragazza chiamata Fulvia. Ma, al centro della vicenda, c’è soprattutto l’ossessione che lacera Milton, il dubbio che lo tormenta: Fulvia e Giorgio Clerici, il suo migliore amico, si sono amati e lo hanno tradito?
Gigliola Carusi Franco non si limitò, spiega il figlio, «a rievocare a me e a mio fratello Antonello, che fa il filosofo, l’innamoramento del giovane Fenoglio per lei. Fece il nome del vero Giorgio Clerici, mai reso noto fino a oggi. Si chiamava Ugo Rabino». Era uno dei giovanotti più affascinanti di Alba, giocava a pallacanestro come Fulvia e Giorgio Clerici nel libro, e come, nella realtà, vi giocava Gigliola. Per qualche tempo, oltretutto, fu partigiano come Fenoglio nella II Divisione Langhe degli autonomi. Gigliola aggiunse un terzo “segreto”. Disse ai figli, pregandoli però di non parlarne con nessuno finché lei fosse stata in vita, che fra lei e Rabino c’era stato davvero un flirt, un “filarino”. Ricorda Franco: «Quando lesse che la signora Benedetta Ferrero s’era identificata in Fulvia, senza tuttavia rivelare l’identità di Giorgio Clerici, mia madre sorrise e mi disse in tono perentorio: “Io sono Fulvia. Sono la sola che conosce la verità. Fulvia e Giorgio Clerici ebbero una relazione? La mia risposta è sì. Neanche Beppe lo sapeva” ».
La madre di Corrado Franco era bella. Rammenta lui: «Era bellissima come le sorelle. Era figlia di Lorenzo Carusi, il primario dell’ospedale San Lazzaro di Alba, un uomo che ha aiutato tanta gente durante l’occupazione tedesca. Aveva conosciuto Fenoglio, più vecchio di due anni, al liceo classico Govone. Mi ha sempre detto che Beppe era stato innamorato di lei e che, per un certo periodo, si erano frequentati, anche se fra loro non c’era stato neppure un bacio».
Eppure, per anni, si è creduto che la bella Fulvia fosse Benedetta Ferrero. La signora, d’altronde, lo ha detto in diverse occasioni. Precisa Corrado Franco: «Non dubito, nel modo più assoluto, che non sia in buona fede. Penso che Fenoglio, come spesso succede agli scrittori,
si sia ispirato a entrambe. Resta il fatto che ci sono diverse caratteristiche biografiche del personaggio di Fulvia che corrispondono a mia madre; altre, invece, sembrano appartenere di più a Benedetta». In ogni caso, continua, «mia mamma ascoltava dischi americani con Beppe, e la loro canzone, come nel romanzo, era Over the Rainbow.
Lei e Fenoglio facevano lunghe passeggiate in collina e sulla circonvallazione; mia mamma fumava, come Fulvia, ed era come lei una gran divoratrice di libri. Andava a casa di Beppe e lui andava a casa sua. C’è un’ulteriore affinità che li lega. Il giovane Fenoglio, negli anni Quaranta, scrisse La voce nella tempesta, una riduzione teatrale da Cime tempestose di Emily Brontë. Ebbene: mia madre preparò una tesi di laurea in quel periodo, in seguito accantonata, su quel romanzo».
Gigliola ha voluto parlare dei suoi “segreti” innocenti in una poesia, composta verosimilmente tra il 2000 e il 2008, e ritrovata dai figli dopo la morte. È dedicata a Fenoglio, si tratta di un dialogo con lui in cui si intrecciano fatti veri, che sono parecchi, e finzione, che è poca. Comincia ricordando quando lui l’aspettava «sotto al portone / alle 6 tutte le sere andavamo a fare la circonvallazione. (…) Tutta Alba diceva che era bruttino / ma io lo trovavo bellissimo. / Mi faceva leggere / ciò che aveva scritto ». Non nasconde, a un certo punto, la loro “questione privata”. È quando scrive: «Lui nel libro l’aveva / ribattezzato Giorgio; ma io / sapevo che era Ugo Rabino ». Fenoglio le chiede: «Non hai nulla da dirmi in proposito? / Mi guardava come se volesse bucarmi l’anima. / “Era vero. Io risposi (non avrei voluto dirglielo). / Tu eri sparito, aggiunsi, senza dirmi nulla. / Ugo era bellissimo, assomigliava ad Errol Flynn. / Andavano ad amoreggiare in uno stallatico, cioè dove / i contadini delle Langhe venivano in Alba lasciando i loro carri». Ricordi e forse rimpianti, nostalgie, di una donna non comune, che non ha mai approfittato in alcun modo di quel legame in vita e in letteratura con Beppe Fenoglio.


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