by Sergio Segio | 4 Ottobre 2013 6:49
NEW YORK — «Questa serrata dei servizi pubblici non nasce da una crisi finanziaria, questa è un’irresponsabile serrata dei repubblicani». Barack Obama alza i toni, al terzo giorno dello stallo legislativo che costringe l’Amministrazione federale a chiudere uffici e sospendere servizi. «Cinque anni fa eravamo in caduta libera, dalla recessione in poi sono stati creati 7,5 milioni di posti di lavoro, non possiamo permetterci di interrompere questa ripresa». Obama ha un asso nella manica: dopo lo shutdown incombe il default. Se i repubblicani continuano a fare ostruzionismo, se non votano il rifinanziamento del bilancio pubblico pur di far deragliare la riforma sanitaria, la vera crisi avverrà dal 17 ottobre: cessazione di pagamenti, default tecnico del Tesoro. Per scongiurarlo bisogna che la destra
si rassegni a votare un innalzamento del tetto del debito (17.000 miliardi di dollari), un atto dovuto, giuridicamente necessario perché il Tesoro possa riprendere a finanziarsi sui mercati attraverso emissioni di bond. Finora, anche il tetto del debito è stato trattato come un tabù, un simbolo della crociata ideologica che il Tea Party conduce contro il bilancio pubblico.
«La chiusura di uffici è un danno — avverte Obama — ma il default sarà molto peggio, un dramma. L’America è il centro dell’economia mondiale, se combiniamo un disastro il mondo intero sarà colpito». Questo secondo allarme comincia ad aprire delle divisioni nella destra. Vacilla John Boehner, presidente della Camera dove i repubblicani hanno la maggioranza. Boehner è un moderato, anche se di recente ha subìto i diktat dell’ala più intransigente che fa capo al Tea Party. Ma di fronte allo spettro del default che potrebbe scattare il 17 ottobre, Boehner sembra cedere al pressing di Obama. I suoi portavoce fanno sapere che il presidente della Camera pur di impedire il default «è disposto a proporre un provvedimento che passi con un mix di voti repubblicani e democratici ». E’ un segnale importante, su cui Boehner può fare infuriare i “pasdaràn” della destra radicale e mettere in gioco la propria leadership. Una regola non scritta, è quella che i repubblicani da quando hanno conquistato la maggioranza alla Camera (fine 2010) rifuggono dai compromessi bipartisan. Vogliono votare in quel ramo del Congresso solo le loro leggi, con maggioranza monocolore. Ma le fratture all’interno della destra si allargano in parallelo con le preoccupazioni di Wall Street. Di fronte alle chiusure parziali di servizi pubblici, che colpiscono i cosiddetti “non
essenziali” come i parchi nazionali, la Statua della Libertà, gli investitori non si preoccupano più di tanto. Ma il default è tutta un’altra cosa.
Ieri il Dipartimento del Tesoro ha diffuso uno studio sulle conseguenze di un default: si va da una «ricaduta nella crisi finanziaria del 2008» ad una «nuova recessione». Il segretario al Tesoro Jack Lew ricorda il precedente del 2011 quando un simile braccio di ferro tra la Casa Bianca e la Camera, risolto con un accordo solo in extremis, «creò una prolungata incertezza e danneggiò la ripresa». Rinviare un accordo fino all’ultimo mintuo, secondo Lew «è proprio ciò di cui non ha bisogno in questo momento la nostra economia, è una ferita che infliggiamo a noi stessi, danneggiando le famiglie e le imprese». Alla sua voce si è aggiunta quella della direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde: «Lo shutdown governativo è già un danno, ma non alzare il tetto del debito avrebbe conseguenze molto peggiori». Questi avvertimenti lasciano indifferenti gli esponenti della destra più radicale. Per loro il varo di Obama- care, la riforma sanitaria entrata in vigore il primo ottobre, è una «minaccia esistenziale per la nazione » e dunque legittima ogni forma di ostruzionismo. Si rifiutano di votare rifinanziamenti del bilancio federale se quella riforma sanitaria non viene rinviata.
Da più parti si invoca per scongiurare il default un escamotage tecnico, suggerito anche dall’ex presidente Bill Clinton: Obama potrebbe invocare dei poteri speciali che la Costituzione gli riconosce (14esimo emendamento) e autorizzare il Tesoro ad onorare i propri debiti sui mercati aggirando l’assenza di un’autorizzazione del Congresso. Ma Obama ha interesse a tenere la situazione in sospeso. Wall Street fa il suo gioco, con gli indici che scendono e i banchieri che premono sui repubblicani. Nel gioco del Far West sui duellanti che si fissano negli occhi, chi chiude le palpebre per primo ha perso. L’impressione è che Boehener stia per cedere.
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/10/lallarme-del-tesoro-usa-il-default-sarebbe-un-dramma-peggio-della-crisi-del-2008/
by Sergio Segio | 4 Ottobre 2013 6:49
NEW YORK — «Questa serrata dei servizi pubblici non nasce da una crisi finanziaria, questa è un’irresponsabile serrata dei repubblicani». Barack Obama alza i toni, al terzo giorno dello stallo legislativo che costringe l’Amministrazione federale a chiudere uffici e sospendere servizi. «Cinque anni fa eravamo in caduta libera, dalla recessione in poi sono stati creati 7,5 milioni di posti di lavoro, non possiamo permetterci di interrompere questa ripresa». Obama ha un asso nella manica: dopo lo shutdown incombe il default. Se i repubblicani continuano a fare ostruzionismo, se non votano il rifinanziamento del bilancio pubblico pur di far deragliare la riforma sanitaria, la vera crisi avverrà dal 17 ottobre: cessazione di pagamenti, default tecnico del Tesoro. Per scongiurarlo bisogna che la destra
si rassegni a votare un innalzamento del tetto del debito (17.000 miliardi di dollari), un atto dovuto, giuridicamente necessario perché il Tesoro possa riprendere a finanziarsi sui mercati attraverso emissioni di bond. Finora, anche il tetto del debito è stato trattato come un tabù, un simbolo della crociata ideologica che il Tea Party conduce contro il bilancio pubblico.
«La chiusura di uffici è un danno — avverte Obama — ma il default sarà molto peggio, un dramma. L’America è il centro dell’economia mondiale, se combiniamo un disastro il mondo intero sarà colpito». Questo secondo allarme comincia ad aprire delle divisioni nella destra. Vacilla John Boehner, presidente della Camera dove i repubblicani hanno la maggioranza. Boehner è un moderato, anche se di recente ha subìto i diktat dell’ala più intransigente che fa capo al Tea Party. Ma di fronte allo spettro del default che potrebbe scattare il 17 ottobre, Boehner sembra cedere al pressing di Obama. I suoi portavoce fanno sapere che il presidente della Camera pur di impedire il default «è disposto a proporre un provvedimento che passi con un mix di voti repubblicani e democratici ». E’ un segnale importante, su cui Boehner può fare infuriare i “pasdaràn” della destra radicale e mettere in gioco la propria leadership. Una regola non scritta, è quella che i repubblicani da quando hanno conquistato la maggioranza alla Camera (fine 2010) rifuggono dai compromessi bipartisan. Vogliono votare in quel ramo del Congresso solo le loro leggi, con maggioranza monocolore. Ma le fratture all’interno della destra si allargano in parallelo con le preoccupazioni di Wall Street. Di fronte alle chiusure parziali di servizi pubblici, che colpiscono i cosiddetti “non
essenziali” come i parchi nazionali, la Statua della Libertà, gli investitori non si preoccupano più di tanto. Ma il default è tutta un’altra cosa.
Ieri il Dipartimento del Tesoro ha diffuso uno studio sulle conseguenze di un default: si va da una «ricaduta nella crisi finanziaria del 2008» ad una «nuova recessione». Il segretario al Tesoro Jack Lew ricorda il precedente del 2011 quando un simile braccio di ferro tra la Casa Bianca e la Camera, risolto con un accordo solo in extremis, «creò una prolungata incertezza e danneggiò la ripresa». Rinviare un accordo fino all’ultimo mintuo, secondo Lew «è proprio ciò di cui non ha bisogno in questo momento la nostra economia, è una ferita che infliggiamo a noi stessi, danneggiando le famiglie e le imprese». Alla sua voce si è aggiunta quella della direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde: «Lo shutdown governativo è già un danno, ma non alzare il tetto del debito avrebbe conseguenze molto peggiori». Questi avvertimenti lasciano indifferenti gli esponenti della destra più radicale. Per loro il varo di Obama- care, la riforma sanitaria entrata in vigore il primo ottobre, è una «minaccia esistenziale per la nazione » e dunque legittima ogni forma di ostruzionismo. Si rifiutano di votare rifinanziamenti del bilancio federale se quella riforma sanitaria non viene rinviata.
Da più parti si invoca per scongiurare il default un escamotage tecnico, suggerito anche dall’ex presidente Bill Clinton: Obama potrebbe invocare dei poteri speciali che la Costituzione gli riconosce (14esimo emendamento) e autorizzare il Tesoro ad onorare i propri debiti sui mercati aggirando l’assenza di un’autorizzazione del Congresso. Ma Obama ha interesse a tenere la situazione in sospeso. Wall Street fa il suo gioco, con gli indici che scendono e i banchieri che premono sui repubblicani. Nel gioco del Far West sui duellanti che si fissano negli occhi, chi chiude le palpebre per primo ha perso. L’impressione è che Boehener stia per cedere.
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