by Sergio Segio | 18 Ottobre 2013 9:50
Una vita in prima linea. Una vita che sembra volgere lentamente al termine, a seguito dell’ictus che lo ha colpito, nella primavera di quest’anno. Il riserbo sull’effettivo stato di salute non consente di azzardare una tempistica, né di valutare con certezza il grado di partecipazione alle decisioni pubbliche del Capo dello Stato. Ad ogni modo, i bene informati parlano di un Presidente “psichicamente capace di intendere, ma non in grado di articolare pensieri strategicamente complessi”. Ovunque risieda la verità, una cosa è certa: la corsa alla successione è aperta.
Il cambio al vertice non desta preoccupazioni, sotto il profilo della stabilità. Il sistema, infatti, poggia su un’articolazione dei poteri saldamente in mano ai ranghi militari. È tuttavia interessante comprendere quali scenari si aprano, in un paese di cui l’Italia è il secondo partner commerciale e da cui importiamo una parte rilevantissima del nostro fabbisogno di metano[1]. Partendo da una consapevolezza: la fase politica che si chiude, con il tramonto di Bouteflika, ha lasciato un solco importante nella storia della vasta nazione magrebina. Egli è infatti il Presidente della “riconciliazione”, colui che ha saputo porre fine, con una strategia di normalizzazione e riassorbimento delle frange meno radicali dell’estremismo islamico, alle divisioni che avevano devastato il Paese fra 1991 e il 1999, anno della sua prima elezione. Operazione che lo ha reso estremamente popolare, al pari di una serie di interventi assistenziali, a vantaggio di quell’ampia platea di giovani, dei ceti popolari urbani, sprovvista di una stabile occupazione.
Occorrerà, dunque, un nome che sappia catalizzare altrettante simpatie. Il più accreditato pare essere quello di Abdelmalek Sellal, attuale Primo Ministro e uomo politico navigato. Si presenta, per posizione ricoperta ed origine (quei ranghi diplomatici da cui proviene lo stesso Bouteflika), come il candidato ideale per una transizione morbida. Tuttavia, si fa insistente anche quello del Liamine Zéroual, generale in pensione, già Presidente dal 1994 al 1999: la notte della Repubblica algerina[2]. Seppe gestire con fermezza il periodo di massima tensione, senza ricorrere ad eccessi da molti considerati inevitabili. Per questo, nonché per l’assai inconsueta scelta di ritirarsi a vita privata, una volta esaurita la funzione presidenziale, gode di un credito diffuso. Al momento, nega di essere interessato ad una possibile candidatura, ma non si può escludere che si tratti di pretattica politica. Ciò detto, la situazione è in piena evoluzione: molto dipenderà dalle soluzioni di compromesso assunte all’interno dell’Esercito e del Fronte di Liberazione Nazionale, il partito di maggioranza relativa che ha espresso, sino ad ora, tutti i presidenti. Senza trascurare il ruolo consultivo tradizionalmente ricoperto dai maggiorenti tribali del triangolo Tebessa-Batna-Souk Ahras.
In questo contesto, un’utile funzione di mediazione verrà svolta dal generale Mohamed Mediène: alias “Tewfik”, attuale capo di stato maggiore della difesa ed ex direttore del DRS, il potentissimo ed onnipresente servizio di sicurezza algerino. Alcune voci, non smentite, indicano lo stesso Mediène come candidato alle prossime elezioni presidenziali, nel 2014. Qualunque sia l’esito della contesa, non potrà non avere riflessi sulla politica dei paesi limitrofi, in particolare su quella tunisina[3]: il piccolo paese del Nord Africa si trova, infatti, al centro di un confronto diplomatico, che oppone Algeri, preoccupata per lo sviluppo di un’interpretazione radicale dell’Islam lungo le sue frontiere, a paesi del Golfo quali l’Arabia Saudita ed i Qatar, impegnati, a detta di molti, in una rischiosa opera di finanziamento di gruppi d’ispirazione fondamentalista.
Dubbi ed interrogativi permangono. Quello che possiamo augurare, al nostro vicino mediterraneo, soprattutto in vista di un ricambio generazionale che appare inevitabile, ora che i protagonisti della guerra di liberazione scompaiono ad uno ad uno dalle strutture di vertice del potere, è che la ricerca di un difficile equilibrio non sfoci in un vizio a noi particolarmente noto: “Cambiare tutto, per non cambiare nulla”.
Omar Bellicini[4]
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