La Ue: stop ai respingimenti e regia comune per i soccorsi ma l’Italia blocca il piano

by Sergio Segio | 23 Ottobre 2013 7:27

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BRUXELLES — Pretendere solidarietà dall’Europa, ma rifiutarne l’autorità. È questa la linea che il ministero degli Interni italiano ha deciso di adottare sulla questione delle operazioni di ricerca e soccorso dei profughi condotte da Frontex, l’agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere. Il 10 ottobre scorso, una settimana dopo la tragedia di Lampedusa, l’Italia ha sottoscritto con Grecia, Malta, Cipro, Francia e Spagna, una posizione comune che blocca l’adozione di un regolamento comunitario per definire i criteri di intervento delle unità marittime impegnate nelle operazioni di pattugliamento congiunto del Mediterraneo. La principale motivazione addotta per respingere la proposta della Commissione è che l’Europa non ha titolo per intromettersi in questo tipo di  regolamentazioni in quanto, scrive l’Italia, «le operazioni marittime di ricerca, soccorso e sbarco sono di competenza degli Stati membri».
Eppure era stato proprio il ministro Alfano, già poche ore dopo la tragedia di Lampedusa, a puntare il dito contro l’Europa e a chiederne un maggior coinvolgimento nelle operazioni di soccorso. «L’Unione europea si renda conto che non è un dramma solo italiano. L’Europa non può chiudere gli occhi, prenda in mano questa situazione. Queste donne, uomini, bambini, non vengono per fare una vacanza, ma sognano libertà, democrazia e benessere». Parole poco congrue con la posizione che i funzionari del ministro
hanno adottato una settimana dopo a Bruxelles, sostenendo la piena sovranità nazionale sulle operazioni di salvataggio.
Il regolamento proposto dalla Commissione nasce dalla necessità di garantire meglio i diritti dei migranti che vengono soccorsi in mare. In base ad una decisione del vertice europeo dell’ottobre 2009 (premier Berlusconi, ministro dell’Interno Maroni) la Commissione era stata unanimemente invitata dai capi di governo a «stabilire chiare procedure operative comuni per le missioni marittime con particolare riguardo alla protezione dei bisognosi».
L’obiettivo del regolamento, spiega il testo del provvedimento, è «di superare le diverse interpretazioni della legge marittima internazionale adottate dagli stati membri e le loro pratiche discordanti per assicurare l’efficienza delle operazioni». Infatti, spiega ancora il documento «in questo quadro di incertezza legale la partecipazione degli Stati membri alle operazioni marittime era scarsa in navi, mezzi e risorse umane. E questo danneggiava l’efficacia delle operazioni e comprometteva gli sforzi di solidarietà europea».
La proposta della Commissione, che ora è all’esame del Parlamento europeo ma rimane bloccata dal veto dei sei Paesi, stabilisce una serie di criteri su come e quando intervenire e dove sbarcare i naufraghi, ma soprattutto fissa una serie di paletti a garanzia dei diritti umani dei profughi soccorsi in mare. In particolare vieta esplicitamente il respingimento, cioè proibisce di riportare le persone soccorse nel Paese di provenienza qualora corrano il rischio di vedervi violati i loro diritti. E cita esplicitamente un caso di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per aver ricondotto dei naufraghi in Libia.
L’obiezione mossa dall’Italia e dagli altri firmatari non contesta queste disposizioni, peraltro derivate dal diritto internazionale e marittimo e dalla Convenzione sui diritti dell’uomo. Tuttavia la critica alla proposta di Bruxelles è molto dura «Gli articoli 9 e 10, che si riferiscono alla ricerca, soccorso e sbarco sollevano molte serie preoccupazioni per come sono formulati. La regolamentazione delle operazioni di ricerca, soccorso e sbarco in uno strumento legislativo dell’Unione europea è inaccettabile per ragioni legali e pratiche», è scritto nel documento sottoscritto dal governo italiano. Le argomentazioni apportate sono di due tipi. Il primo è la questione di principio, secondo cui l’Europa non deve occuparsi della questione, che è di pertinenza esclusiva degli stati membri contrariamente a quanto sostiene pubblicamente il ministro Alfano. Il secondo è di ordine pratico: «Stabilire questi dettagli nella legislazione eliminerebbe completamente la flessibilità » nella gestione delle operazioni stesse.

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