La trattativa segreta dell’Italia per verificare i dati in mano Usa
ROMA — Il 25 luglio scorso l’Italia ha avuto la conferma che i dati relativi alle nostre telefonate, sms e email vengono acquisiti dagli Stati Uniti. Quel giorno il direttore del Dis Giampiero Massolo ha incontrato a Washington i capi delle agenzie di «intelligence» americane — il direttore della Cia John Brennan, dei Servizi Segreti James Clapper e dell’Nsa Keith Alexander — e ha analizzato con loro il flusso di informazioni catturate attraverso il sistema Prism, relative alle comunicazioni in arrivo e in partenza per gli Usa e utilizzate, secondo quanto è stato assicurato, per garantire la sicurezza nazionale.
È l’audizione del sottosegretario delegato Marco Minniti, di fronte al Comitato parlamentare sulla sicurezza, a ricostruire quanto accaduto in tre occasioni dopo le rivelazioni dell’analista informatico Edward Snowden. E così a fornire un clamoroso riscontro rispetto a quanto è emerso anche in Francia. Con una differenza rispetto alle decisioni prese da Francois Hollande: il governo guidato da Enrico Letta ha avviato una trattativa, segnata da tre incontri di altissimo livello già avvenuti e da altri appuntamenti in agenda per le prossime settimane.
Dopo la riunione di luglio si è infatti deciso che fosse necessario un faccia a faccia tecnico. Il 2 agosto è così arrivata a Roma una delegazione guidata dal vicedirettore esecutivo del Nsa che ha incontrato i colleghi dell’Aise, l’Agenzia per la sicurezza estera guidata dal generale Adriano Santini. E due settimane fa è stato lo stesso Minniti a parlare con il generale Alexander. «Uno scambio continuo — chiarisce in sede parlamentare il sottosegretario — che ci ha consentito di verificare che cosa sia accaduto e soprattutto che tipo di dati sono nelle mani degli Usa».
Il primo punto riguarda quelli che vengono definiti «Metadati» e dunque: identità dei titolari delle utenze coinvolte, tipo di contatto, durata. «Abbiamo avuto la conferma che queste informazioni vengono acquisite attraverso il traffico che entra e esce dagli Stati Uniti — spiega Minniti — ma ci è stato assicurato che mai alcuna comunicazione è stata intercettata». In realtà l’ascolto diventa possibile, anzi scontato, se si passa al secondo livello di minaccia e cioè quando il contatto analizzato si trasforma in un «target» sensibile.
«In quel caso — conferma il sottosegretario — si attiva la procedura per captare i contenuti delle conversazioni o delle comunicazioni via mail o sms». Sono i cosidetti «sigint» che anche i nostri 007 hanno utilizzato in momenti di crisi dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, ma anche durante la guerra in Iraq e in Afghanistan, quando era necessario poter captare le conversazioni su decine e decine di cellulari e satellitari per cercare di individuare gli obiettivi per possibili attentati oppure le prigioni degli occidentali rapiti in un’attività contro il terrorismo internazionale che sembra essere poi diventata il paravento per l’acquisizione per tutti gli altri dati. E non consente di poter escludere che il controllo sia avvenuto nei confronti di personalità e autorità, paventando il rischio di uno spionaggio politico. Soprattutto tenendo conto del rapporto stretto che c’è sempre stato tra i servizi di intelligence di Stati Uniti e Italia e si è consolidato proprio in quegli anni.
In tutte le riunioni bilaterali è stata esclusa la possibilità che l’intrusione avvenga su territorio estero, ma questo non basta a rassicurare. Perché, come Minniti ha ammesso di fronte al Copasir, «la questione attiene ai contratti che i Provider statunitensi siglano con le agenzie di “intelligence”. Ciò significa che i gestori di telefonia e traffico informatico potrebbero aver accettato di consegnare i dati acquisiti. Noi possiamo garantire che lo stesso non può essere fatto se il gestore è italiano, ma di fronte alle società straniere non abbiano alcun potere di intervento».
Altro argomento delicato riguarda i cavi di comunicazione sottomarini. Le verifiche effettuate dai nostri 007 ne garantiscono la sicurezza in territorio italiano per la presenza dei «filtri», però è lo stesso sottosegretario a sottolineare come alcuni snodi siano sistemati in realtà «all’estero, in Francia, oppure in Cornovaglia e rispetto a questi sistemi non possiamo avere la certezza che non siano stati sottoposti a controlli non autorizzati».
E tanto basta per capire che siamo soltanto all’inizio della storia.
Fiorenza Sarzanini
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