La ragazza annegata mentre partoriva l’ultimo orrore del barcone affondato
LAMPEDUSA — È nato mentre la madre moriva. Lei annegava, prigioniera dentro la prua del barcone che s’inabissava sul fondo del mare di Lampedusa. Lui anche, appena nato e ancora legato alla sua mamma dal cordone ombelicale. La ragazza africana aveva poco meno di vent’anni e portava in grembo quell’esserino di appena sette mesi. Adesso entrambi, madre e figlio — vittime numero “288” e “289” — sono tornati insieme, dentro una bara marrone, sistemata vicino alle quattro bare bianche custodite, come tutte le altre, nell’hangar dell’aeroporto. Li volevano separare: il bambino prematuro con gli altri bambini, la mamma con le casse degli altri adulti, che da giorni attendono di essere seppellite chissà dove. L’interrogativo era se considerarlo un feto oppure no. Alla fine è prevalso il buonsenso e madre e figlio sono stati messi assieme.
Questa triste vicenda è l’ultima drammatica fotografia della tragedia di Lampedusa, dove molte madri sono morte insieme ai loro figli e ad altri ragazzini che si erano imbarcati da soli per arrivare in Italia. «Non dimenticherò mai le centinaia di bare allineate — dice commosso il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso — dentro ci sono neonati, bambini e anche una madre con il piccolo venuto alla luce proprio mentre il barcone affondava. Quell’immagine non se ne andrà mai via dalla mia mente».
Ma c’è un altro uomo, un maresciallo capo dei carabinieri, che non dimenticherà. Renato Sollustri non dorme da due giorni, da quando ha avuto l’ingrato compito di portare a galla quella donna che aveva suo figlio appena nato nascosto dentro i fuseaux bianchi strappati alle ginocchia, sotto i pantaloni abbassati. Rivive così quel momento. «Erano le tre del pomeriggio quando finalmente siamo riusciti a entrare dentro l’ultima cabina di prua — racconta il carabiniere sub — dopo avere superato un muro di cadaveri. Prima abbiamo recuperato il corpo di una donna che stringeva al petto un bambino di cinque o sei anni».
Per separarli è dovuto intervenire Giacomone, così si chiama il carabiniere alto due metri. Ha faticato non poco per rompere quell’ultimo abbraccio.
«Accanto a loro c’era un ragazzo eritreo di 17-18 anni: lo preleviamo, lo portiamo fuori dal barcone». Indossa un paio di jeans e una t-shirt azzurra. Sopra una scritta con caratteri maiuscoli: “Italia”. Il sogno e la speranza finiti a poche centinaia di metri dalla costa dell’isola.
L’ispezione dei carabinieri sub, quel giorno, non si ferma lì. Le bombole hanno ancora una decina di minuti di ossigeno. Viene avvistato un altro cadavere di mamma: una ragazza con il pancione. O così sembrava. «Non saremmo potuti risalire senza provare a fare qualcosa per lei», ricorda il maresciallo Sollustri. I sub s’infilano di nuovo in quel corridoio disseminato di cadaveri e tornano nella cabina di prua. «L’abbiamo portata fuori dal barcone facendo una catena umana con le nostre braccia. Poi l’abbiamo adagiata sul fondo del mare. Con una cima l’abbiamo legata ad altri cadaveri e poi con i palloni li abbiamo accompagnati dal fondo del mare fino alla luce».
A quel punto, la scoperta più atroce. «Quando abbiamo passato il cadavere della donna ai colleghi che erano a bordo del gommone abbiamo avuto un sussulto: dentro i fuseaux c’era il suo bambino appena nato. Non ci potevamo credere. Ci siamo messi a piangere, la mia maschera era allagata di lacrime ». Il maresciallo e i suoi colleghi del gruppo interforze in questi giorni hanno recuperato quasi trecento cadaveri. «Ma di fronte a quella giovane donna e al suo piccolo bambino appena nato ci ha fatto perdere la freddezza. In tanti anni che faccio questo lavoro, non mi era mai accaduta una cosa del genere. È stato un lavoro “sporco”. Sarei stato felice — dice Sollustri, che ha un figlio di 14 anni, Tommaso — se avessi potuto riportarli a galla vivi. Ma erano morti da cinque giorni e forse il piccolo non ha neanche visto la luce. Solo il fondo nero del mare».
Non si saprà mai se quel bambino sia stato effettivamente partorito durante il naufragio o se sia uscito dal grembo della sua mamma soltanto dopo. Quel che è certo, dicono con orgoglio dall’hangar, che quel piccolo è stato considerato un individuo, conteggiato nel computo delle vittime della tragedia e disposto in una bara assieme alla sua giovane mamma.
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