by Sergio Segio | 8 Ottobre 2013 7:32
Centro“Auser”diVoghera,Oltrepopavese,unodeicomunipiùanzianid’Italia,unapersona su quattro qui ha più di 65 anni, ma gli over80 ormai sono quasi la maggioranza. Un caseggiato basso, dipinto di fresco, un parco ombroso, e dentro, alle cinque del pomeriggio, lezione di pittura per una trentina di signore (età media 75) che si esercitano olio su tela in nature morte e scorci di paesaggio. C’è il palcoscenico, le luci, lo spazio ampio.
«Fino a 10 anni fa qui si invecchiava bene, siamo gente che ha lavorato una vita intera, molti di noi sono ferrovieri, chi viaggiava, chi stava alle Officine Grandi Riparazioni, poi c’erano le fornaci, i laterizi», racconta Pierluigi Polli, ex capotreno, oggi attivissimo autista volontario per ammalati, disabili e per quelli che, dice scherzando «hanno la mia età ma non la mia tempra». Poi a Voghera come altrove le aziende hanno chiuso, le pensioni sono diventate sussidio per giovani senza lavoro, e gli anziani si sono trasformati in “grandi anziani” sempre meno autonomi, sempre più bisognosi. Già simbolo delle casalinghe di tutta Italia, per la definizione di laboriosa medietà che ne fece Alberto Arbasino negli anni Sessanta, oggi Voghera secondo il censimento Istat del 2011 è una delle città tra i 30 e i 40mila abitanti con il più alto tasso di vecchiaia insieme a Piombino, Gorizia e Spoleto. Con il 25,9% di over65 contro un dato nazionale del 20,8%, il saldo demografico negativo e la natalità in picchiata, Voghera fotografa l’Italia che verrà, quando cioè nel 2030 la terza e la quarta età saranno il 26% di tutta la popolazione.
Strade ordinate, il Duomo, il Teatro, sul corso principale anziani che con incedere lento passeggiano al braccio delle badanti. Irina, moldava e di mezza età, l’aria energica delle donne dell’Est, spinge la carrozzina di Bice, una vispa ex maestra novantenne. Che precisa: «Ne ho ottantotto, grazie». E Irina: «Bice è la seconda signora che accudisco. Sono qui dal 2000, e non sono rimasta un giorno senza lavoro. Anzi ho fatto venire mia figlia e mia sorella, c’è sempre più richiesta».
I campi di granoturco, la nebbia d’inverno e il caldo d’estate, ma anche la tragedia dell’amianto, le vittime del processo “Fibronit”, quattrocento i morti accertati, forse molti di più, contaminati fino agli anni Novanta. «L’amianto era dappertutto — dice Enrico Legora, classe 1938 — mio fratello Giannino che aveva lavorato alle Officine Grandi Riparazioni è morto di un tumore simile al mesotelioma, ma per fortuna ha avuto il tempo di vedere il centro che avevamo fondato diventare così attivo e frequentato ». Un gruppo di amici, quasi tutti ex ferrovieri, molti anche ex compagni di partito: «Qui il Pci era una cosa seria, eravamo la Lomellina rossa, oggi al Comune purtroppo c’è la Lega… ». Insieme recuperano la vecchia colonia elioterapica, smantellano i resti delle piscine, bonificano il parco, costruiscono a mano i giochi per i bambini, e aprono le porte alla città. Ai vecchi, ai disabili, ai malati, oggi sempre di più anche alle famiglie che non riescono più a gestire la quotidianità. Giovani anziani che si prendono cura di “grandi anziani”, quegli oldest- old che i demografi annunciano come la vera rivoluzione (o emergenza) dei prossimi decenni.
Bisogna venire qui, alla periferia di Voghera, per rendersi conto di ciò che sarà. Diecimila over65 su 38mila abitanti. Un centro anziani (frequentatissimo) due Rsa, residenze sanitarie assistite, ma soprattutto l’Auser, associazione di volontariato nata nel 1989 dalla Cgil per “promuovere l’invecchiamento attivo”, che oggi conta da Nord a Sud 1500 sedi, 300mila iscritti, 40mila volontari. «Lo sa quali sono le cose che gli anziani amano di più? Il ballo e il teatro», dice sorridendo Mary Mangiarotti, prof di Lettere in pensione, infaticabile presidente dell’Auser, capelli bianchi portati con serenità. «Da noi la domenica pomeriggio c’è il pienone, così come per il concorso di pittura, i corsi di cucina, la ginnastica. Ma quello che ci differenzia è che siamo un polo di volontariato, attraverso la telefonia sociale. Chi ha bisogno di aiuto ci chiama, e noi trasportiamo con i nostri mezzi altri anziani che hanno bisogno di essere accompagnati in ospedale, dal medico, a fare la spesa, magari anche dal parrucchiere».
Quello che sta accadendo e rende Voghera una sorta di laboratorio è che questa generazione che ha percorso il Novecento sta diventando un welfare sostitutivo, in bilico pericoloso verso la povertà. Una “generazione collante”, come la definisce il demografo Alessandro Rosina che insieme ad Antonio Golini, presidente dell’Istat, ha curato per il “Mulino” il saggio: “Il secolo degli anziani. Come cambierà l’Italia”. «La terza parte della vita oggi si divide in tre età: i “giovani” dai 65 ai 74 anni, gli anziani, dai 75 agli 84, e poi grandi vecchi. I primi e i secondi fanno parte di una classe forte, in buona salute, numericamente imponente. Hanno avuto lavori stabili, accesso all’ascensore sociale, sono oggi l’unica componente salda tra due emergenze. Ma sotto questo peso rischiano di implodere, come del resto tutto il welfare familiare».
Racconta Mary Mangiarotti: «Sempre più spesso ci contattano famiglie giovani: chi ha un figlio con handicap e nessuno che lo porti a scuola, genitori che fanno i pendolari, tornano a Voghera soltanto a dormire e non sanno come gestire i loro bambini, e poi gli ottantenni, i novantenni, non più autonomi, e di cui nessuno si fa carico, soli, in case vuote, una vera emergenza sociale… ».
Eppure fino a qualche anno fa Voghera non era soltanto un “paese di vecchi”, ma anche un “paese per vecchi”. «Sarà il clima — suggerisce serafico Giuseppe Fiocchi, assessore leghista alle Politiche Sociali, dimenticando forse l’amianto — che fa vivere a lungo, e poi qui gli anziani sono occupati in mille attività». Pierluigi Polli, 64 anni, ammette sereno che lui della vita
vissuta e della vita di oggi non si lamenta affatto. «Ho lavorato, ero capotreno e mi piaceva, guadagnavo bene, ho mantenuto la famiglia, due figli all’università, ho sempre fatto politica, poi quando il Pd si è alleato con Berlusconi ho deciso che basta, quel partito non lo riconoscevo più, e ho deciso di dedicarmi all’Auser, dove faccio l’autista. Qui si stava bene, io ci sono nato, cresciuto e invecchiato, ma adesso i vecchi senza pensione sono sempre di più, la città si è spopolata. La sera quando esco per andare al bar, per sentire un po’ di musica, non incontro più nessuno, è un dormitorio».
Nostalgia di una vita semplice ma sicura. Quarant’anni di lavoro alle spalle, anche duro, quando però le fabbriche assumevano, e nelle famiglie entravano due stipendi, perché nonostante la fama delle “casalinghe di Voghera” (peraltro oggi attivissime e impegnate su mille fronti) l’occupazione femminile anche se non con i numeri dell’Emilia Romagna era presente. «Noi siamo l’ultima diga — ammette Mary Mangiarotti — schiacciati da genitori quasi centenari, io stessa ho una madre ultraottantenne che si è appena rotta un femore, una suocera di novantadue, e da figli e nipoti che guadagnano sempre meno». Le pensioni non reggono più gli enormi problemi dell’invecchiamento. «Non avete idea di quanti grandi anziani perdano la testa, una tragedia sociale, spesso penso che avremmo diritto al testamento biologico. Noi qui cerchiamo di essere allegri, attivi e solidali, ma lo Stato ha abbandonato i vecchi, e la corda si sta spezzando».
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