La carta di riserva del Cavaliere
A PALAZZO Grazioli si ritrovano Fitto e Carfagna, Gelmini e Romano, Brunetta e Galan, Bernini e l’ideatore dell’Esercito di Silvio, Simone Furlan. I ministri «traditori» sono già lontani, rientrati a Palazzo Chigi, la partita con loro il Cavaliere la considera ormai chiusa. «Sono addolorato dalla rottura con Angelino. Lui era davvero il mio erede, ma sono le cose della vita, pazienza» dice al cospetto degli ospiti.
Ed è lì, risalito in salotto dopo la conferenza stampa, quando attorno a lui restano in pochissimi, che il leader apre per la prima volta all’ipotesi che fino ad ora aveva sempre escluso. La «discesa in campo» dell’amata primogenita, presidente Fininvest e Mondadori. Pupilla di Fedele Confalonieri che invece resta ancora profondamente contrario, come del resto Gianni Letta. Ma il padre ormai sembra non ascoltare più i consigli dei moderati dell’inner
circle.
Sono altre le sirene. E altre le fascinazioni. Come quella di contrapporre alla marcia trionfale di Renzi, proprio l’8 dicembre, l’investitura di Marina. Il Consiglio nazionale Pdl in quella data, alla presenza dei suoi 800 componenti, dovrà ratificare il passaggio a Forza Italia deciso due giorni fa dal leader. La suggestione che piace molto ai falchi, da Verdini a Bondi alla Santanché è proprio quella: approfittare della platea e dei riflettori per lanciare la quarantenne che con tanto di brand Berlusconi potrà sfidare il sindaco di Firenze. Designata lo stesso giorno. Per partire subito in una (virtuale) campagna elettorale che dovrà fare i conti però con un governo ancora in carica. L’ex premier apre alla svolta familiare, con cautela, ma ne parla come di una mossa a questo punto possibile, per non dire obbligata dalla sua decadenza e dall’interdizione che impedirebbero comunque la sua corsa alla premiership. Tanto più che dal giorno in cui la decadenza sarà votata al Senato muterà lo scenario. Berlusconi lo ha ripetuto, prima che i suoi ospiti si congedassero per raggiungere il ristorante Fortunato al Pantheon. «Ritireremo il sostegno al governo, ma vedrete che tanto sarà Renzi da lì a poco ad aprire la crisi». Sicuro del voto tra febbraio e aprile. Non a caso in quella stessa sede ha parlato di chi dovrà prendere le redini della macchina organizzativa di Forza Italia. Volti e nomi di pretoriani più che fidati. Ha rifatto il nome di Marcello Dell’Utri, visto entrare e uscire a più riprese nelle ultime settimane a Grazioli. E poi Bruno Ermolli,
cda Mediaset, ma soprattutto scudiero di mille battaglie al suo fianco dagli anni Settanta. Poi Guido Bertolaso, ex discusso capo della Protezione civile.
Giancarlo Galan, presidente della commissione Cultura, al quale spetterà il talent scouting.
Un ruolo lo avrà anche Furlan coi suoi soldati di Silvio. La campagna mediatica, quella sì, partirà subito dopo l’8 dicembre. Un martellamento sul governo attraverso tv e giornali di casa, per accusare la manovra «tutta tasse e sacrifici». Ma da qui ad allora l’uscita dalla maggioranza sarà sancita dal voto di decadenza al Senato. A quel punto Alfano e i ministri, se resteranno nell’esecutivo, si ritroveranno sotto tiro anche loro. Intanto hanno concordato ieri di congelare la scissione, la formazione del gruppo autonomo. Meglio attendere prima le mosse del Cavaliere, la decadenza con quel che ne conseguirà. Si tratterà di attendere ancora una paio di settimane, forse tre. Il fatto è che sta crescendo in queste ore nei gruppi parlamentari Pdl un terzo partito, tra lealisti e alfaniani, quello degli attendisti, i tanti che preferiscono capire le mosse di Berlusconi prima di sbilanciarsi. Chi non vuole attendere è Raffaele Fitto. Lui come Verdini e altri stanno accarezzando l’idea di anticipare il Consiglio nazionale di dicembre. Vorrebbero andare subito alla conta. L’ex governatore nella sua Puglia, la Carfagna in Campania come la Gelmini in Lombardia e Matteoli in Toscana e Giro nel Lazio sono già alla caccia delle firme di sostegno a Berlusconi per il passaggio a Forza Italia. Contano di raccogliere entro inizio settimana le 600 su 800 che garantirebbero il 67 per cento, pari ai due terzi necessari per spuntarla. Alfano e i governativi stanno facendo altrettanto per impedirlo e raggiungere quota 34 per cento. Berlusconi non ha dubbi, come confidava ieri agli interlocutori sentiti da Arcore: «Sono convinto di aver fatto la cosa giusta. Non avevo altra possibilità per tentare di salvarmi».
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