Iran, Netanyahu corre ai ripari con Obama
GERUSALEMME. Hanno avuto ragione i funzionari governativi dei due Paesi che, prima dell’incontro tra Barack Obama e Benyamin Netanyahu, si sono affannati a ripetere che, sull’Iran, il presidente americano e il premier israeliano hanno piena identità di vedute. Forse Obama ha voluto soltanto rassicurare l’alleato israeliano, preoccupato dal dialogo che si è riaperto, dopo 30 anni, tra Washington e Tehran. Certo è che ieri il presidente Usa è stato perentorio: ha affermato che intende rimanere costantemente in contatto con Israele sui negoziati con l’Iran e ha ribadito che tutte le opzioni – compresa quella militare – rimangono sul tavolo per evitare che Teheran si doti di armi nucleari. «È imperativo che l’Iran non abbia armi nucleari» ha detto Obama. Invito a nozze per Netanyahu, per il quale l’obiettivo dell’Iran resterebbe sempre quello di «distruggere Israele», e pertanto è necessario costringere Teheran a smantellare il proprio programma nucleare.
Per Israele non è cambiato nulla dopo l’elezione del presidente iraniano Hassan Rowhani che afferma la sua volontà di dialogo con l’Occidente e gli Usa. L’opzione militare contro l’Iran era e resta l’unica concreta soluzione che ha in mente Benyamin Netanyahu che non ha mai creduto all’efficacia delle sanzioni internazionali e continua a porre condizioni inaccettabili a Tehran, che di fatto impediscono uno sbocco politico a una crisi che si trascina da anni: che cessi l’arricchimento dell’uranio; che il materiale già arricchito sia rimosso dall’Iran e che cessino le attività nelle centrali a Fordo e ad Araq. È probabile che ieri Netanyahu, come aveva anticipato la tv israeliana, abbia minacciato di abbandonare la via diplomatica se i negoziati non avranno come fine lo smantellamento del programma nucleare di Teheran. «Una delle cose che dirà (Netanyahu) è che se i negoziati con l’Iran non avranno il fine ultimo dello smantellamento del programma nucleare ma solo la sua sorveglianza, Israele si considererà libero dai suoi impegni nel processo diplomatico tra l’Occidente e l’Iran», ossia libero di attaccare con la sua aviazione le centrali atomiche iraniane, aveva lasciato intendere due giorni fa la corrispondente della tv, citando fonti dell’entourage del primo ministro.
Il viaggio di Netanyahu negli Usa ha avuto un unico scopo, provare a bloccare il dialogo tra Washington e Tehran «spiegando» a Barack Obama e, oggi, all’Assemblea dell’Onu, la presunta «verità» a fronte delle «parole dolci» e dei «sorrisi» del presidente Hassan Rowhani. Quindi controbilanciare l’offensiva diplomatica iraniana che ha effetti anche sulla crisi siriana. Il presidente siriano Bashar Assad, intervistato da Rainews, da parte sua sostiene che «se gli Stati Uniti sono sinceri», dall’avvicinamento tra Usa e Iran «ci saranno risultati positivi, non solo per la crisi siriana ma per tutti gli altri problemi della regione».
Netanyahu ieri avrebbe illustrato ad Obama le «prove» dell’intelligence israeliana sull’immutata corsa dell’Iran al nucleare e la sua presunta regia «dietro il terrorismo internazionale». E, con tempismo sospetto, i servizi israeliani, prima dell’arrivo di Netanyahu negli Usa, hanno annunciato l’arresto a Tel Aviv di un uomo d’affari belga, ma di ascendenza iraniana, accusato di spiare per conto di Tehran. Alex Mans sarebbe stato reclutato dai Pasdaran e nei suoi bagagli sarebbero stati trovati documenti vari fra cui fotografie dell’ambasciata Usa a Tel Aviv. «Si deve parlare dei fatti e dire la verità», ammoniva Netanyahu prima della partenza, perché «dire oggi la verità è vitale per la sicurezza e la pace del mondo e ovviamente di Israele».
Israele guarda con sospetto e sgomento, al dialogo tra Washington e Tehran. Teme che apra la strada al riconoscimento Usa del diritto dell’Iran di produrre energia nucleare in modo indipendente. Uno sbocco che Tel Aviv – unica potenza nucleare nella regione – ha sempre provato ad impedire. Tuttavia la posizione di Netanyahu sull’Iran non trova consensi unanimi in Israele. E Netanyahu sbaglierebbe se cercasse ora di ostacolare le mosse di Obama e meglio farebbe invece a sostenere l’apertura di un dialogo Usa-Iran, esorta l’ex capo dell’intelligence militare Amos Yadlin, ora presidente del Centro di studi strategici Inss dell’Università di Tel Aviv. Malgrado le sue preoccupazioni, dice Yadlin, Israele non deve apparire come chi intralci la distensione internazionale e deve assecondare il dialogo, cercando di mettere puntelli. Le preoccupazioni di Yadlin non turbano Obama: ieri ha anche reso onore a Netanyahu «che ha ripreso i colloqui di pace con i palestinesi». Ribadendo la sua volontà di «facilitare i negoziati», ha affermato che il tempo per raggiungere dei risultati tangibili è limitato.
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