In viaggio, per porre fine all’embargo Usa

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L’AVANA. Eduardo Fabio è un piccolo mulatto, un anno compiuto da poco, steso su un lettino del Cardiocentro pediatrico William Soler dell’Avana. Respira da un tubo di ossigeno e sul petto ha i sensori che ne misurano i dati cardiaci. È stato operato da poco per un difetto cardiaco, associato alla Sindrome di Down. Piccolo, malato, non sa di essere un nemico del più grande impero, gli Stati Uniti, che dal 1962 hanno decretato un blocco economico-finanziario contro Cuba, che rende difficile e molto costoso reperire materiale medico per curare casi come il suo: tra maggio 2012 e aprile 2013, il governo cubano ha dovuto pagare un extra di 39 milioni di dollari per procurarsi medicamenti, vaccini e materiale sanitario aggirando l’embargo.
Di fronte al corpicino di Eduardo Fabio si erge dunque una montagna di denaro, quasi 1200 miliardi di dollari, quasi mille miliardi di euro, una trentina di finanziarie. È l’ammontare dei danni per Cuba del cinquantennale embargo, rinnovato nel settembre 2012 dal presidente Obama. Nella valutazione dei danni, espressa di fronte ai giornalisti riuniti in una sala dell’ospedale William Soler, il viceministro degli Esteri, Abelardo Moreno ha messo un luce come nel 2009, al momento di insediarsi, Obama avesse annunciato una nuova politica verso l’Avana. E come, cinque anni dopo, non solo abbia mantenuto il blocco economico, ma in alcune sfere economico-finanziarie lo abbia reso più duro. I dati forniti da Moreno fanno parte del documento – si può consultare in internet in www.cubavsbloqueo.cu – che Cuba presenterà tra una ventina di giorni all’Assemblea dell’Onu per chiedere una risoluzione di condanna del blocco economico statunitense. E come capita ormai dal 1992, l’Avana avrà l’appoggio della quasi totalità dei Paesi membri (l’anno scorso 188 paesi hanno appoggiato la risoluzione di Cuba e tre, Usa, Israele e isole Palau, hanno votato contro). L’embargo prevede infatti sanzioni degli Stati Uniti verso imprese e istituti finanziari, non solo statunitensi ma anche internazionali, che accettino di commerciare o avere rapporti con Cuba. Tra gennaio e settembre di quest’anno gli Usa hanno obbligato trenta compagnie, nordamericane e straniere, a pagare 2.446 milioni di dollari per aver avuto relazioni con l’Avana. Con che diritto?, si è chiesto Moreno, visto che Washington sta violando anche le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
La stessa domanda se la pongono milioni di cittadini degli Usa – compresi imprenditori, alti funzionari e i governatori di alcuni Stati – che continuano a esprimenrsi contro sanzioni che non hanno alcuna giustificazione in termini di política estera. Ben pochi, negli Usa, ritengono che «il comunismo» cubano costituisca un pericolo. Fra i pochi, però, vi sono un pugno di parlamentari repubblicani (soprattutto) che rappresentano la potente lobby anticastrista della Florida. Gli stessi del braccio di ferro di questi giorni contro la riforma sanitaria di Obama, ricattando il governo federale Usa.
Una possibilità di contrastare l’embargo c’è, e risiede nella volontà dei cittadini di superare questa barriera imposta dal governo di Washington. «Il crescente flusso di viaggiatori tra Cuba e Stati uniti, stimolato da misure migratorie da parte di entrambi i paesi, può convertirsi in quello che Obama non vorrebbe che si convertisse, in una forma per mettere fine al blocco» Usa, sostiene l’accademico Esteban Morales, che sulle relazioni tra l’Avana e gli Stati Uniti ha scritto un libro e vari saggi. I cubano-americani potrebbero avere un ruolo di punta, visto che le la stragrande maggioranza dei cittadini dell’isola caraibica che negli ultimi vent’anni sono emigrati negli Usa sono stati motivati da problema economici e non politici. In sostanza, la più recente «diaspora» è rimasta legata alla madre patria, condanna l’embargo e continua a avere stretti rapporti con l’isola, recandovisi in visita praticamente ogni anno.
La riforma migratoria del presidente Raúl Castro, in vigore dall’inizio 2012, è tra le più apprezzate dai cubani. Quest’anno, dai dati governativi, 180.000 cubani hanno viaggiato all’estero. Una delle (poche) aperture di Obama è consistita nell’aver eliminato le dure restrizioni poste dall’allora presidente George W. Bush ai viaggi a Cuba dei cubanoamericani. La Sezione di interesse degli Usa all’Avana (i due paesi non hanno rapporti diplomatici formali) nel primo semestre di quest’anno ha concesso visti temporali a 17.767 cubani, con un incremento del 79% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Con un cambiamento di 180° gradi dai tempi in cui gli emigrati venivano tacciati di tradimento e definiti gusanos, il governo di Raúl guarda con grande interesse alla possibilità che una parte della diaspora possa investire a Cuba. Le riforme economiche e sociali varate dal Pc cubano due anni fa, per decollare devono riuscire a stimolare la produzione, liberandola per quanto possibile dai vincoli di una omnipresente e omnipotente gestione (e burocrazia) di Stato. Un’altra riforma che ha avuto un grande appoggio è stata l’apertura dell’economia ai lavoratori privati, i cuentapropistas. I numeri sono indicativi: quando cinque anni fa Raúl assunse il potere, i lavoratori privati erano circa 170.000; oggi i cuentapropistas con licenza hanno toccato il tetto di 436.000, poco meno di un decimo della forza lavoro del Paese. Nei giorni scorsi il governo ha ampliato la possibilità di lavoro privato a altre 18 categorie di lavoratori (prima erano 183) compresi i titolari di agenzie immobiliari, grossisti di prodotti agricoli – che possono fornire direttamente alberghi e aziende statali – costruttori edili e , misura assai attesa, operatori turistici. Per quanto importante però, i cuentapropisti occupano un settore limitato, quello dei servizi. Ma per uscire dalla crisi, Cuba ha bisogno di rimettere in piedi la stuttura produttiva, attivando poli di sviluppo e dando per quanto possibile alle aziende di stato autonomia dal centro e responsabilità, cioè possibilità di fare e dividere utili ma anche di fallire. E soprattutto incentivando nuove forme di proprietà non statale, come le cooperative, in passato permesse solo nel settore agricolo. In base al decreto legge che estende le cooperative anche ai settori non agricoli, nell’ultima settimana sono state créate 73 nuove cooperative, 41 di queste in precedenza erano imprese di stato, 32 sono start-ups create da cittadini associatisi per poter usufruire degli incentivi garantiti dalla nuova legge a chi forma cooperative.
Sui poli di sviluppo, il governo cubano ha appena varato il decreto legge 313 per attirare investimenti stranieri nella Zona speciale di sviluppo a Mariel (Zedm),a 45 km dall’Avana, dov’è in corso la costruzione di un porto per container e una serie di infrastrutture collegate che aspirano a diventare il centro di logística per mercanzie di tutto il Gofo del Messico. Le opere di costruzione, iniziate nel 2011 con finanziamento brasiliano, dovranno terminare l’anno prossimo. Per il ministro del Commercio e investimenti stranieri, Rodrigo Malmierca, «la Zona si propone di creare un clima speciale dove il capitale straniero avrà condizioni migliori che nel resto del paese», con sconti fiscali, doganali e garanzie di poter rimpatriare gli utili.


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