Il ritorno della Tigre: Dublino riparte

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LONDRA — Gli elogi di Mario Draghi, presidente della Banca Europea, sono arrivati pubblicamente quattro giorni fa: «L’Irlanda ha lavorato bene in questo drammatico periodo». Promozione a pieni voti o quasi per Dublino e per il suo governo che ha chiesto sacrifici duri per rispettare gli impegni con il Fondo Monetario e l’Europa.
Il Financial Times di ieri fa eco con un titolo: «Back on the market», ritorno al mercato. Il che significa che l’ex Tigre Celtica, schiacciata dalla crisi immobiliare, bancaria e del debito sovrano, espropriata della sovranità fiscale per il fallimento della sua economia, è sul punto di rimettersi in carreggiata.
Il premier Enda Kenny ha annunciato che il prossimo 15 dicembre, salvo capitomboli in dirittura d’arrivo, l’Irlanda uscirà dal piano di aiuti internazionali (85 miliardi di euro) che fu impacchettato in fretta e furia nel 2010 in cambio della promessa solenne di inaugurare una lunga stagione di tagli della spesa pubblica, delle retribuzioni, delle pensioni, di riforme nel mercato del lavoro e di nuove tasse. Il risultato è che il Paese ha frenato la discesa e mostra segnali di ripresa. Eppure le nubi non si sono diradate del tutto.
Dublino sarà la prima delle capitali salvate dall’Europa e dal Fondo Monetario (Portogallo, Atene, Cipro gli altri «pazienti» gravi) a sbarazzarsi del bailout , ovvero del soccorso coordinato da Berlino, Bruxelles e Francoforte. Le medicine somministrate sembra che stiano funzionando. Il prezzo delle cure è altissimo.
Oggi la maggioranza (coalizione fra centrodestra del Fine Gael e centrosinistra laburista) bussa alla porta dei cittadini col settimo budget di austerità in sei anni. Non c’è scampo e non c’è alternativa: il solco tracciato è questo. Un’altra stretta che tradotta significa un pacchetto di 3,1 miliardi di euro da sforbiciare per restare sul sentiero che porta al 15 dicembre. Sarà approvato e la marcia proseguirà.
Il deficit e il debito sono sotto controllo, i numeri macroeconomici consolano i teorici della rigidità fiscale. Osservando le tabelle, già presentate, con le previsioni per il 2014 e raffrontate con il trend degli ultimi due esercizi, si ricava l’immagine di un Paese che va indiscutibilmente meglio. Il Prodotto interno lordo dal 2012 è in lieve crescita (+0,2 nel 2013 e +1,8 nel 2014), i consumi che erano in picchiata ritornano timidamente verso l’alto (erano sotto dello 0,3 e dello 0,2 nel 2012 e nel 2013 ma saranno +1,1 nel 2014), gli investimenti s’impennano (dallo sconfortante -1 del 2012 al +4,9 del 2013 e addirittura +6,8 nel 2014), il treno delle esportazioni specie verso il Regno Unito sta per ripartire (dal -0,6 del 2013 al +1,9 del 2014), quello delle importazioni pure (dal -0,4 al +1,4).
Si muove persino l’industria delle costruzioni che aveva provocato il disastro: una bolla spaventosa, mutui regalati dalle banche senza garanzie, quotazioni gonfiate, rischi scaricati con i derivati sui risparmiatori, l’impazzimento finanziario nel 2007 e 300 mila case rimaste come orribili scheletri di cemento a macchiare l’ex Tigre Celtica. Adesso il mattone si rialza.
Le statistiche, nella loro semplicità e crudezza, regalano un respiro di sollievo e servono a rafforzare l’immagine di una nazione in cura che ritrova ossigeno, al punto da annunciare di potere fare presto affidamento sui suoi muscoli e di riappropriarsi del beneficio di rientrare sui mercati, in sostanza di proporsi all’interesse degli investitori e non soltanto alla benevolenza dei creditori. Ma parlare di euforia sarebbe fuori luogo. Il dato che pesa come un macigno e che non fa per niente sorridere gli irlandesi è quello sulla disoccupazione che resta drammatico. È vero che lo scorso anno era del 15,1 per cento e che si attesta ora al 13,3, con una discreta e importante ripresa, ma non è un fenomeno ancora consolidato.
Le preoccupazioni non sono svanite. L’austerità, proprio come chiedevano Berlino e Francoforte, sta riaggiustando le cifre macroeconomiche e il bilancio dello Stato. Il punto interrogativo è se le politiche di rigidità fiscale porteranno finalmente benefici al lavoro. Ed è ciò che per gli irlandesi conta di più. È il prossimo banco di prova per la severità della cancelliera Merkel e di Bruxelles.
Fabio Cavalera


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Che succede se – a forza di tagliare la spesa – il trasporto pubblico si avvia a chiudere i battenti? Finisce con i cittadini in macchina, su due ruote o nella snervante attesa di un autobus sopravvissuto alla moria. La scena, in molte città  italiane, ieri era questa. Non tutte, perché il sindacato promotore – l’Unione sindacale di base (Usb) – lo aveva revocato nelle città  colpite dalle alluvioni (Torino, Alessandria, Genova, l’Anm di Napoli); mentre è molto debole nella sola Milano.

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