Il prelievo colpirebbe una casa su quattro

by Sergio Segio | 8 Ottobre 2013 7:44

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Dovremo forse aspettare il 16 dicembre, data prevista per il saldo dell’Imu 2013, perché chi risiede in una casa di proprietà possa sapere con certezza se dovrà pagare il tributo e quanto dovrà spendere. L’ennesimo colpo di scena, in una storia che dal dicembre 2011 di sorprese e cambi di marcia ne ha già riservato innumerevoli, è avvenuto con la presentazione in sede di conversione parlamentare del decreto legge 102 di un emendamento teso a ripristinare il tributo per le case con rendita catastale superiore a 750 euro; viene così messa in predicato l’abolizione integrale della prima rata per tutte le abitazioni non appartenenti alle categorie A/1, A/8 e A/9 e comunque, al di là delle effettive possibilità di accoglimento, fa pensare che la strada per arrivare nella legge di stabilità a un’eliminazione della seconda rata (prevista da un accordo politico ma in nessun modo finora messa nero su bianco in un testo legislativo) sarà molto accidentata se non impraticabile. 
Le simulazioni del governo
L’emendamento prende le mosse da uno studio preparatorio al decreto 102 rilasciato a inizio agosto dal ministero delle Finanze; nell’analisi una delle ipotesi di rimodulazione dell’Imu partiva dal presupposto di elevare la franchigia sull’imposta fino a 756 euro, equivalenti a una detrazione media (l’entità effettiva dipende dall’aliquota applicata dal Comune) di 508 euro anziché i 200 previsti per il 2012. La perdita di gettito scenderebbe in questa ipotesi dai 4 miliardi derivanti dall’abolizione integrale del tributo a un miliardo e mezzo di euro. Tra gli scenari delineati da via XX Settembre c’era anche quello che prevedeva una franchigia fino a 650 euro di rendita (perdita di gettito limitata a poco più di un miliardo), o una esenzione fino a una rendita da 920 euro (perdita di oltre 2 miliardi) senza ulteriori detrazioni per la cifra eccedente o con detrazione da 200 euro (perdita di 2,2 miliardi). Va considerato comunque che il contributo degli immobili di maggior valore è decisamente significativo: nel 2012 le abitazioni principali che hanno pagato da 500 euro in su sono state solo il 9,91% (meno di due milioni di case) ma hanno garantito il 36,6% dell’incasso. 
Tornando all’emendamento, quante sono le abitazioni che dovrebbero pagare se la proposta passasse? Tornando ai dati del ministero, si tratterebbe di circa 4,6 milioni di case su oltre 19 milioni di alloggi considerati abitazione principale Nella tabella abbiamo provato a vedere più in dettaglio che cosa succederebbe in 30 capoluoghi di provincia. 
Chi dovrà pagare
Il problema nel pagamento nei fatti riguarda tre categorie catastali, la A/2 , la A/3 e la A/7: Quest’ultima però identifica le abitazioni indipendenti e di fatto siccome si tratta di immobili di dimensioni medie di oltre 150 metri quadrati finirebbero per pagare pressoché tutti; le classi A/4 A/5 e A/6 invece identificano immobili di scarso valore e sarebbero pressoché tutti esentati. Limitando la nostra analisi alle due categorie A/2 e A/3 abbiamo perciò provato, sulla base delle ultime statistiche catastali, a calcolare quale la dimensione a cui corrisponde una rendita di 750 euro. Nella classe A/2 a Roma ad esempio equivale a quella di un monolocale da 36 metri; lo stesso a Milano mentre a Napoli la superficie sale a 48 metri e a Palermo a 96 mentre a Torino (dove la A/2 sono relativamente poche) bastano 33 metri. Nella A/3, dove la percentuale di immobili esenti sarebbe molto maggiore, per pagare a Roma bastano 41 metri mentre a Milano si sale a 55 e a Palermo addirittura 139. Il Ministero delle Finanze ha presentato anche scenari di rimodulazione del tributo che si basano sul reddito dichiarato dei contribuenti; hanno però due limiti di non poco conto: il primo è che si basano su redditi dichiarati e non su redditi reali e così chi evade l’Irpef avrebbe un vantaggio anche per l’Imu; il secondo è che appare improprio applicare criteri reddituali su un’imposta di natura patrimoniale: se una casa ha un valore di 500mila euro non si vende a meno solo perché il proprietario ha un reddito basso. 
Gino Pagliuca

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