Il piano anti degrado Fuori dalle celle (restando in carcere)

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ROMA — I calcoli si possono fare solo per approssimazione, giacché i numeri dipendono da molte variabili, non tutte prevedibili. Ma qualche cifra realistica si può immaginare. Se l’Italia non comincerà a cambiare la situazione di vivibilità delle proprie prigioni, i circa 2.800 ricorsi pendenti davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo saranno esaminati con buone possibilità di essere accolti. Nel caso della «sentenza pilota» chiamata Torreggiani dal nome di uno dei ricorrenti, per sette detenuti ai quali è stato riconosciuto il trattamento «disumano e degradante» a causa del poco spazio in cui erano costretti, la Corte ha stabilito una sanzione complessiva di 100.000 euro. Moltiplicando questo importo per il totale dei ricorrenti si arriverebbe a un maxi-risarcimento di 40 milioni, e questo riguarderebbe solo i reclami già presentati. Naturalmente è possibile che non tutti siano ammissibili o accoglibili, ma è pure prevedibile che di qui a sei mesi se ne aggiungano altri. In ogni caso si tratterebbe di sborsare qualche decina di milioni per via del sovraffollamento, che andrebbero ad aumentare il già rilevante «debito pubblico della giustizia» derivante dai risarcimenti per l’eccessiva durata dei processi: 348 milioni di euro, secondo l’ultimo dato, a fronte dei 50 stanziati dal ministero dell’Economia per questa voce .
Il giudizio europeo sui ricorsi che lamentano le condizioni di vita «degradanti» all’interno delle carceri è stato sospeso per dare tempo all’Italia di provvedere ai necessari rimedi. La scadenza è fissata al maggio 2014, e il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha deciso di correre ai ripari. Per evitare le multe milionarie, ma anche e soprattutto perché risolvere l’eterna emergenza carceraria, o almeno provare a farlo, «è un imperativo categorico». Senza aspettare il provvedimento di amnistia e indulto invocato da Napolitano – misura eccezionale per una situazione eccezionale – che dipenderà dall’incerta volontà del Parlamento.
Tra un mese il Guardasigilli andrà a Strasburgo per illustrare il piano messo in campo dal vertice dell’Amministrazione penitenziaria (il direttore Giovanni Tamburino e i suoi vice Francesco Cascini e Luigi Pagano), dal commissario straordinario Angelo Sinesio e da Mauro Palma, presidente della commissione per gli interventi in materia penitenziaria appositamente istituita dalla Cancellieri.
A parte gli interventi legislativi già adottati per ridurre i nuovi ingressi (maggiore applicabilità degli arresti domiciliari, delle misure alternative o dei lavori di pubblica utilità), è stato ripreso in mano il progetto di interventi varato dall’ex ministro Alfano nel 2010 con un maxi-stanziamento di 468 milioni. Rimodulato secondo diversi canoni d’intervento. Trentanove appalti per la costruzione di nuovi istituti, nuovi padiglioni all’interno di quelli esistenti e per le ristrutturazioni sono stati già assegnati, o avviate le procedure: una spesa di 310 milioni che dovrebbe garantire 12.000 posti in più entro il 2016 (attualmente il sovraffollamento è di circa 17.000 persone, differenza tra capienza e presenze effettive). Un po’ di un terzo dei nuovi posti, 4.400, dovrebbero essere disponibili entro la fine del 2013. Ma l’obiettivo del nuovo piano-carceri, al quale si stanno dedicando in particolare Cascini, Sinesio e Palma, non è solo l’aumento delle celle e delle brande. Prima e più in fretta si cerca di intervenire sul «modello di detenzione», cioè l’organizzazione della vita all’interno delle prigioni; cercando di migliorare le condizioni dei reclusi offrendo loro possibilità di lavoro, di studio e di socialità, e quindi di reinserimento.
Quattro milioni e 100.000 euro sono già stati destinati a chi vuole dedicarsi alla costruzione dei mobili per arredare i locali (armadi, letti, sgabelli e tavoli), e confezionare coperte, cuscini e lenzuola. In questo modo si cerca di utilizzare il lavoro dei detenuti per le esigenze degli stessi penitenziari, ma alla lunga si tratta di un investimento contro il sovraffollamento: per chi sconta la propria pena senza fare niente, infatti, si calcola l’87 per cento di «recidiva», il che significa tornare a delinquere e candidarsi al reingresso in carcere; per chi lavora, invece, la recidiva scende sotto il 13 per cento, con una grossa riduzione dei ritorni in carcere.
Tuttavia la principale novità con la quale si cercherà di rimuovere le condizioni di degrado riguarda l’apertura delle celle durante il giorno. Attualmente, dei quasi 65 mila detenuti, solo 8 mila hanno la possibilità di trascorrere le loro giornate (a parte la classica «ora d’aria») fuori dai locali in cui si calcolano i numeri del sovraffollamento. E dove si è costretti anche a consumare i pasti. Poco più del 10 per cento, quindi. Con la rimodulazione già avviata in un’ala dell’istituto di Rebibbia e che sta per partire a Sollicciano, invece, nasceranno i refettori e altri locali che permetteranno a chi sta scostando una pena o la carcerazione preventiva di trascorrere la giornata fuori dalle celle, insieme ai compagni di detenzione raggruppati per categorie e compatibilità. Secondo i programmi del ministero entro il maggio del 2014, quando ci sarà la verifica europea, circa 48 mila detenuti potranno vivere di giorno in condizioni di «socialità» a tempo pieno. Sarebbe la quasi totalità dei cosiddetti «comuni», di scarsa pericolosità sociale e non sottoposti ai regimi dell’alta sicurezza o del «41 bis». In attesa dei nuovi posti, insomma, le condizioni di sovraffollamento saranno limitate alla notte, quando si dorme. Per presentarsi alla corte dei diritti dell’uomo con le carte un po’ più in regola, ma soprattutto con una nuova «filosofia della detenzione» nelle prigioni d’Italia.
Giovanni Bianconi


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