Il Pdl va all’attacco delle spese inutili

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ROMA — Daniele Capezzone, presidente della Commissione Finanze della Camera, lealista Pdl, non ha dubbi. «La legge di Stabilità in Parlamento va riscritta» dice, tuonando contro «l’Imu che torna sotto falso nome». Anche i più moderati del partito hanno in mente una profonda rivisitazione della legge di bilancio del prossimo anno. Dal seminario della Fondazione Magna Charta di ieri, dagli interventi di Maurizio Sacconi e Gianfranco Polillo, è uscita una sentenza di condanna quasi senza appello. La manovra piace poco anche alla base del Pd, nonostante il vertice del partito, con qualche imbarazzo di fronte all’annunciato sciopero generale dei sindacati, si sforzi di mantenere moderazione nei giudizi. E preoccupa decisamente il drappello un po’ spaesato dei parlamentari di Scelta civica, già tormentato dalle vicende politiche interne. Il cammino della legge di Stabilità in Parlamento, che oggi debutta nell’Aula del Senato con il primo esame di ammissibilità, non si preannuncia affatto facile.
Il centrodestra chiede una manovra molto più coraggiosa e ambiziosa di quella, assai prudente, impostata da Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni. Il premier ed il ministro dell’Economia hanno preferito non attribuire un gettito specifico alle misure per il rientro dei capitali dall’estero, alla rivalutazione delle quote delle banche nel capitale di Bankitalia, ma secondo buona parte del PdL non è proprio il caso di usare tanta precauzione. Quelle misure portano gettito, tanto vale «quotarlo» e utilizzarlo, per esempio per ampliare gli sgravi a favore dei lavoratori e delle imprese. Oppure per ridurre il peso delle imposte sulla casa, che dopo la riforma prevista dalla legge di Stabilità, come dice Capezzone, «rischiano di essere più alte di prima».
Quanto meno, sostiene ad esempio Maurizio Sacconi, si poteva essere un po’ più aggressivi sui tagli della spesa pubblica. Ieri l’ex ministro del Lavoro ha presentato ai suoi un piano in dieci punti, che passa per il taglio di 250 piccoli ospedali, l’accorpamento di sanità e assistenza, la razionalizzazione delle università e del pubblico impiego, l’accelerazione del federalismo, con i costi standard applicati subito al trasporto pubblico locale, l’associazione dei servizi comunali secondo bacini di utenza di almeno 100 mila abitanti, l’eliminazione delle province e l’attuazione concreta del principio del fallimento politico, con l’ineleggibilità per gli amministratori che determinano il dissesto degli enti.
Un piano complicato, impegnativo. Completamente alternativo a quello delineato dalla legge di Letta e Saccomanni. Senza andare tanto oltre il PdL è comunque compatto nel chiedere al governo di ripensare la riforma dell’Imu, così come di alleggerire la manovra a carico dei pensionati. Secondo Sacconi la penalizzazione dell’indicizzazione parziale dovrebbe essere evitata a tutti i pensionati che hanno più di 67 anni d’età.
Il problema è sentito anche nel Pd, dove soprattutto nella base c’è comprensione per le ragioni della protesta sindacale. «Certamente il pubblico impiego è il settore che paga di più, una riflessione su questo comparto va fatta» dice Pierluigi Bersani. Matteo Colaninno, responsabile economico del partito, spiega con cautela che «la Legge va migliorata, ma preservata nel suo impianto generale». Va bene più coraggio, «ma non temerarietà», aggiunge. Anche il suo predecessore e attuale vice ministro dell’Economia, Stefano Fassina, già duro con Saccomanni e convinto solo da Letta a restare al suo posto, pensa come Colaninno che lo «sciopero sindacale sarebbe un errore». Ma non demorde sull’Imu e chiede di fare ogni sforzo per trovare 2,4 miliardi entro metà dicembre ed evitare, così, il pagamento della seconda rata del 2013.
Anche dalle parti di Scelta civica la legge di Stabilità crea patemi d’animo. «Quest’anno abbiamo perso molto tempo, e fatto molto poco. Per questo abbiamo grandi problemi nell’affrontare il 2014. Servirebbe un deciso cambio di passo» dice il responsabile delle politiche fiscali, Enrico Zanetti. La nuova Imu, aggiunge, è uguale a quella di prima. Ma è soprattutto l’impostazione per il futuro che preoccupa. «Ci sono quelle clausole di salvaguardia che prevedono il taglio delle spese fiscali di 20 miliardi a partire dal 2015. Sembra una tempistica perfetta per tirare avanti nel 2014 e poi lasciare, l’anno, dopo il cerino acceso in mano a qualcun altro» aggiunge Zanetti. «Esattamente come accadde nel 2010 con Tremonti, che immaginò per il futuro un taglio delle detrazioni impossibile da realizzare, determinando poi l’aumento dell’Iva e l’anticipo dell’Imu. Lasciando il famoso cerino in mano a Mario Monti».
Mario Sensini


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