Il mondo salvato dai bambini

by Sergio Segio | 7 Ottobre 2013 5:59

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PARIGI. «Caro ministro, le scrivo perché mi piacerebbe avere una maestra». La lettera di Timothée, 9 anni, è stata imbustata qualche giorno fa a Vins-sur-Caramy, nel sud della Francia, per essere recapitata nell’ufficio parigino di Vincent Peillon, titolare dell’Istruzione. L’alunno di quinta elementare è diventato il portavoce della sua scuola dove manca da mesi una maestra di ruolo. «È un grosso problema, Signor Ministro. Se continua così finiremo davvero nei guai». La lettera di Timothée è diventata subito un piccolo caso, ripresa dai giornali e tv francesi, costringendo il ministro a rispondere. L’appello di Timothée è stato meglio dell’ennesimo intervento di genitori e sindacato di insegnati. Anche a Chicago la Marcus Garvey School avrebbe probabilmente chiuso qualche mese fa se non ci fosse stato lo strepitoso discorso del novenne Asean Johnason: «Caro sindaco, non trattarci come
giocattoli».

Quello che non hanno fatto vertici governativi e milioni di euro spesi in campagne pubblicitarie in favore dell’istruzione, lo ha fatto la pakistana Malala Yousafzai. E si può dubitare che qualcuno si sarebbe davvero accorto dell’esistenza di bambini soldati senza la sconvolgente testimonianza di Ishmael Beah, che ha passato l’infanzia imbracciando il fucile tra i ribelli del Sierra Leone.
Sono bambini che muovono il mondo. Scuotono le coscienze, accendono i riflettori, mostrano un coraggio che spesso manca agli adulti. Piccoli leader di grandi battaglie. Mai come oggi, con una crisi di rappresentanza che tocca tutte le istituzioni, la voce dell’infanzia riesce a farsi sentire, è ascoltata come e più di quella di un politico o di una Ong. È un effetto paradossale ma positivo della Rete che mette tutti allo stesso livello, adulti e bambini. Nada, una yemenita di 11 anni, ha postato un video su You-Tube in cui si ribella ai matrimoni forzati nel suo paese. «Allora preferisco morire», ha detto e subito è scattata la mobilitazione. Charlie Simpson, un londinese di 7 anni, è riuscito a lanciare una gigantesca colletta sul web, dopo il terremoto di Haiti nel 2010: alla fine ha raccolto oltre 200 mila sterline.
In altre epoche è già successo. La più toccante e lucida testimonianza sull’Olocausto appartiene alla tredicenne Anna Frank. Uno dei simboli americani della battaglia contro la segregazione razziale è Ruby Bridges che nel 1960, a sei anni, osò entrare in una classe bianca di New Orleans, sopportando insulti e minacce.
Ma oggi questi bambini hanno ancora più visibilità, e quindi forza. Sfruttano comunicazioni rapide e immediate, moltiplicando l’effetto dei loro appelli. «Sono simboli che ci fanno spesso arrivare più lontano di un ambasciatore, un cantante o un leader di governo», osserva Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef. «Il loro messaggio è davvero universale, e ci permette di costruire campagne più globali». Iacomini racconta di aver recentemente partecipato un dibattito sull’accesso all’educazione in Italia. «Tutti citavano Malala, ancora prima che io la nominassi. Mi sono reso conto che molte delle cose che andiamo dicendo da tempo adesso sono finalmente di dominio pubblico, proprio grazie a questa ragazza pakistana». Era accaduto anche con Iqbal Masih, il dodicenne pakistano venduto dal padre per dodici dollari a un fabbricante di tappeti. Il bambino trovò la forza di ribellarsi, scrivendo una lettera di dimissioni e unendosi ai sindacati locali. Iqbal è stato ucciso nel 1995. Ma è diventato un’icona, anche attraverso un bel film trasmesso sulla Rai, per tutte le Ong che lottano contro il lavoro minorile.
«I bambini hanno la resilienza per superare le loro sofferenze, se solo gli viene data la possibilità di farlo», scrive Ishmael Beah in Memorie di un bambino soldato, pubblicato nel 2007. Dopo quel bestseller, Beah è diventato ambasciatore dell’Onu e dell’Unicef, collabora attivamente con Human Rights Watch. In Italia, molti lettori hanno capito quale sia l’odissea dei migranti grazie alla storia del ragazzo afgano Enaiatollah Akbari e al libro Nel mare ci sono i coccodrilli, scritto insieme a Fabio Geda. «Non sempre funziona», nota Iacomini. La storia di felice integrazione di Rebecca Covaciu, che l’Unicef ha provato a raccontare per smentire i pregiudizi contro i rom, non ha riscosso così tanta attenzione. «Ci sono temi che disturbano comunque, non importa chi li affronta», commenta Iacomini.
Come per Malala, che gira il mondo per conferenze, viene il che questi “piccoli leader” siano strumentalizzati dagli adulti, seppur a fin di bene. «Intanto non usiamo mai questi bambini-testimoni per campagne di raccolta fondi. Bisogna assolutamente evitare che diventino parte di un business», dice il portavoce dell’Unicef. Per chi si occupa di protezione dell’infanzia, il problema dello sfruttamento dell’immagine di questi minorenni esiste. «Ci preoccupiamo sempre di capire quanto la testimonianza sia autentica »m spiega Valerio Neri, direttore generale di Save The Children Italia. «Abbiamo lavorato spesso con bambini soldato, portandoli a raccontare le loro storie — ricorda Neri — Ma prima cerchiamo di instaurare con loro un rapporto di sincerità, verificando che siano davvero pronti ad esporsi in pubblico ». Save The Children ha aderito alla campagna per l’educazione di Malala, ormai trattata nel mondo come una “star” umanitaria. «Questa ragazza non potrà mai più tornare a una vita normale — continua il direttore dell’Ong — perché la sua testimonianza è anche denuncia: se tornasse nel suo villaggio, la ucciderebbero come hanno già provato a fare». Malala è stata candidata al Nobel per la Pace, che verrà assegnato venerdì. «Sarebbe un fortissimo segnale in favore dell’infanzia e contro la guerra», commenta Neri.
Ormai capita sempre più spesso di assistere a conferenze o eventi umanitari in cui bambini sono chiamati a esprimersi, a dare il loro punto di vista. Usano parole e concetti semplici, diretti, si fanno capire meglio. Quasi che le generazioni, i tradizionali ruoli, si fossero ribaltati. Tra gli invitati della Ted Conference c’è stata anche la scrittrice americana Adora Svitak, 12 anni, autrice di diversi libri e di un blog seguitissimo. «Il mondo ha bisogno di pensare in maniera indubbio fantile», ha detto Adora. Servono idee audaci, ha continuato, una creatività selvaggia e, specialmente, ottimismo. Chi ha il dovere di lottare per il futuro, se non loro?
Uno dei primi discorsi “globali” di una minorenne fu quello della canadese Severn Cullis-Suzuki, che nel 1992 fece calare il silenzio tra le centinaia di delegati riuniti al vertice internazionale per l’ambiente a Rio de Janeiro. «Sono solo una bambina, non ho tutte le soluzioni, ma mi chiedo se siete coscienti del fatto che non le avete neppure voi: non sapete come riparare il buco dell’ozono o come riportare i salmoni in un fiume inquinato.
Se non avete idea di come riparare tutto questo, per favore smettete di distruggerlo». Anche Severn aveva solo 12 anni. Molti pensarono allora che quelle sue parole avevano messo i “grandi” con le spalle al muro: ora o mai più il momento di decidere misure per salvare la Terra. Non è andata così. Ma vent’anni dopo, il suo video è tuttora cliccato su YouTube, è stato addirittura musicato in una canzone. Certo, Severn non ha risolto i problemi del mondo ma nessun adulto può vantarsi di aver espresso così bene la posta in gioco.

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