Il Manifesto di chi tifa per la ripresa

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I primi firmatari del manifesto sono Ermete Realacci per la fondazione Symbola, Ferruccio Dardanello per l’Unioncamere e Marco Fortis per la Fondazione Edison e l’obiettivo dichiarato dell’iniziativa è combattere «la retorica dell’Apocalisse» ovvero quel giudizio negativo «infondato e senza appello» sull’Italia che genera «pessimismo e frustrazione nell’opinione pubblica interna» e allontana «gli investitori stranieri». È vero che l’Italia è in crisi profonda e drammatica «ma non è un Paese senza futuro». La tesi del suo irreversibile declino «è molto popolare in patria e all’estero manca però del sostegno dei fatti, fa torto a chi lavora e distoglie dai veri problemi da risolvere».
Ma quali sono i fatti che dimostrano il contrario? Il manifesto si dilunga molto sugli straordinari successi del nostro export e sull’appetibilità turistica dell’Italia. Echeggiando le tesi più volte esposte da Fortis il testo sostiene che abbiamo saputo costruire valore aggiunto nei settori tradizionali del made in Italy (abbigliamento, calzature e mobili) dove eravamo stati dati per spacciati e «abbiamo creato nuove specializzazioni nella meccanica, nei mezzi di trasporto (non auto), nei prodotti innovativi per l’edilizia e nella chimica-farmaceutica». L’export sfata «i luoghi comuni sbandierati dalla propaganda declinista» ma anche il turismo vede aumentare l’afflusso di stranieri. «Siamo la meta preferita per i visitatori da Cina, Giappone e Brasile, siamo alla pari con la Gran Bretagna per la provenienza dagli Stati Uniti e secondi per arrivi da Canada, Sudafrica, Australia e Russia». Non siamo, dunque, una nazione di macerie e cittadini rassegnati — sostengono Realacci e Dardanello — sappiamo competere e abbiamo una grande vocazione nazionale, «la qualità». Sul piano delle proposte il manifesto chiede di ripartire dal «nostro irripetibile ecosistema produttivo» con una politica industriale che faccia perno sulla valorizzazione della manifattura, del turismo, della cultura e dell’agricoltura.
Vedremo che discussione si aprirà attorno al testo e quali firme si aggiungeranno e se decollerà l’idea di un nuovo patriottismo economico. Finora questo termine è stato utilizzato nella ricorrenti querelle sull’italianità delle grandi imprese e nel 2005 proprio sul Corriere Tommaso Padoa-Schioppa diede vita a un ampio dibattito in materia. Il patriottismo di «Oltre la crisi» è differente, guarda non tanto alla nazionalità dei capitali ma riporta in primo piano l’Italia-comunità e contiene un’idea di coesione sociale/nazionale che va al di là della salvaguardia delle tutele sindacali e di welfare.


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