IL GRANDE EQUIVOCO DEL PICCOLO CENTRO

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Serve a rammentare quanto già si sapeva. Che lo spazio politico di Centro, per chi coltivi ambizioni di leadership, è troppo ridotto. Perfino asfittico.
Anzitutto dal punto di vista elettorale. D’altronde, alle recenti consultazioni, i soggetti politici centristi, insieme, hanno superato a stento il 10% dei voti validi. Intercettati, in larga misura, dal partito di Monti, Scelta Civica (8,6%, alla Camera). “Cannibalizzando” l’Udc di Casini, che non ha raggiunto il 2%. Mentre Fli, il partito di Gianfranco Fini, si è fermato allo 0,5%. Cioè: si è fermato. Ma oggi il loro peso elettorale, nei sondaggi, appare ulteriormente diminuito. Meno dell’8%. Principalmente a causa del declino di Sc (scesa sotto il 5%).
In definitiva: la “salita” in campo di Monti ha allargato di poco lo spazio elettorale del Centro (che, alle consultazioni del 2008, si era attestato intorno al 6%). Ciò riflette la tendenza “bipolare” che si è affermata nel corso della cosiddetta Seconda Repubblica, fondata da e su Berlusconi. Dal 1994 in poi, infatti, gli elettori si sono abituati a votare per due schieramenti alternativi. Lasciando ai margini chi si poneva “nel mezzo”. Mentre è cresciuto il peso dei soggetti politici esterni e contrapposti al sistema partitico. La Lega, ieri, ma soprattutto il M5S, oggi.
Non a caso, gli elettori che si posizionano al Centro dello spazio politico fra Sinistra e Destra sono, appunto, il 10% (Sondaggio Demos, ottobre 2013). Mentre la maggioranza si colloca a Centro-destra/Destra. Oppure a Centro- sinistra/Sinistra. Ma, soprattutto, “fuori” (oltre un terzo). In altri termini, i “centristi”, i sedicenti “moderati”, si schierano, prevalentemente, di qua o di là. A (Centro) Destra o a (Centro) Sinistra.
Per questo il sogno neo-democristiano, oggi, è irrealizzabile. Una nuova Dc non può sorgere. Perché le condizioni che ne hanno generato e consolidato l’esperienza, nel dopoguerra, sono improponibili. La Dc ha governato ininterrottamente, nel corso della Prima Repubblica, perché non aveva alternative, nel nostro sistema partitico. Dov’era presente il più forte Partito Comunista occidentale. Dove, inoltre, agiva il Msi, neofascista. Due partiti anti-sistema (come li definisce Giovanni Sartori). Così, per quasi cinquant’anni, abbiamo vissuto in un “bipartitismo imperfetto” (per utilizzare la formula di Giorgio Galli). Dove i due principali partiti “dovevano” giocare una parte pre-definita. Il Pci all’opposizione e la Dc al governo. Sempre e comunque. Per questo la Dc costituiva il Centro del sistema politico italiano, ma non rappresentava gli elettori di Centro. Raccoglieva anche l’elettorato di Destra e, per una certa quota, di Sinistra.
La fine della Prima Repubblica (e dell’Unione Sovietica) ha modificato le fratture politiche del passato. Ma solo in parte, perché Berlusconi ha rimpiazzato il muro di Berlino, erigendo, al suo posto, il muro di Arcore. Che separa Antiberlusconiani e Anticomunisti. Così il Centro ha continuato a svolgere un ruolo residuale. Poco rilevante. L’esperimento partitico di Monti, per questo, non è giunto a buon fine. Ben prima che egli entrasse in conflitto con gli alleati e i suoi stessi eletti. Perché Monti ambiva a occupare uno spazio ben più ampio fra gli elettori. E, a maggior ragione, in Parlamento, in particolare al Senato, dove pensava di svolgere un ruolo determinante, nella maggioranza, in coalizione con il Centrosinistra. Invece, si è trovato parte di una maggioranza di “larghe intese”, dove il peso del Centro è limitato.
Monti, in effetti, ha equivocato il significato del consenso che lo ha accompagnato, a lungo, durante l’esperienza del suo governo. Ha pensato che potesse riprodursi anche sul piano elettorale, oltre e dopo il governo tecnico. Non era e non è così.
Il sostegno di cui disponevano Monti e il suo governo dipendeva dalla “paura” della crisi economica, nazionale e globale. Dipendeva dalla “paura” del vuoto politico. Dipendeva dallo “stato di necessità” in cui versava lo Stato. Ma dipendeva, in parte, anche dalla nostalgia democristiana depositata nella coscienza degli italiani. Che non significa nostalgia della Dc, ma di un Paese dove i conflitti non producevano lacerazioni. Non degeneravano in “guerra civile” permanente, per quanto a bassa intensità. Un Paese dove tutti erano coinvolti nel governo, anche i partiti che stavano –
naturaliter – all’opposizione. Così è avvenuto nella stagione di governo tecnico. E lo stesso, in fondo, avviene oggi. Al tempo del governo di “larghe intese”. Dove “quasi” tutti i principali partiti coabitano, senza amore. Anzi, in un clima di reciproca sfiducia. Ma, comunque, stanno insieme. Per Stato di necessità. L’eredità della Dc si riflette, semmai, nella presenza di molti post-democristiani nel governo. A partire dai due principali responsabili: Letta e Alfano. Uno di (Centro) Sinistra e l’altro di (Centro) Destra. Ma, per la stessa ragione, non esiste la possibilità, per un soggetto politico di Centro, peraltro “piccolo”, di svolgere un ruolo critico, distinto e autonomo. Il Centro, in Italia, c’è già. Sta di qua e di là. È il Grande Centro delle Larghe Intese guidato da Enrico Letta. Verso il quale Monti, intervistato da Lucia Annunziata, ieri, non a caso, si è espresso con parole acide. Il Grande Centro evoca il desiderio di stare tutti insieme – uniti e divisi, al tempo stesso. Tutti al governo, ma senza impegno. Comunque, non è più il luogo della “mediazione”. (Né, forse, lo è mai stato.) Ma, semmai, dell’interdizione reciproca. In nome di una stabilità, che rammenta l’immobilità. Una palude. Dove rischia di affondare il Paese.


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