Il governo sceglie la manovrina immobili a Cdp e tagli ai ministeri per mantenere il deficit al 3%

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ROMA — Manovrina di aggiustamento dei conti pubblici da 1,6 miliardi per far rientrare il deficit entro la soglia del 3 per cento, senza, per una volta, aumento di tasse. Il Consiglio dei ministri ha varato il decreto ieri sera ricorrendo a una copertura finanziaria fatta di tagli alla spesa (circa 1,1 miliardi) e di vendita di immobili (per circa 500 milioni) di proprietà del demanio alla Cassa depositi e prestiti che poi li metterà sul mercato.
Da qui alla fine dell’anno saranno bloccate tutte le spese ministeriali non obbligatorie, cioè con un margine di discrezionalità da parte dei dicasteri, relative soprattutto all’acquisto di beni e servizi. Fermi anche i trasferimenti agli enti locali. Un taglio drastico, sostanzialmente lineare, che ha permesso di evitare il ricorso al classico aumento delle accise sulla benzina come, d’altra parte, era stato ipotizzato (+ 6,5 centesimi per ogni litro) nelle bozze del provvedimento preparate dai tecnici. Tanto che, prima della riunione del Consiglio dei ministri, il ministero dell’Economia, era dovuto intervenire con una smentita: «Nel decreto per la correzione del deficit non ci sarà alcun aumento di accise». Ancora più ampia la precisazione del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini: «Non ci sarà alcun aumento delle accise o altri prelievi fiscali». Nel decreto infatti sono saltati pure gli aumenti degli acconti Irap e Ires dal 101 al 103 per cento.
Ma il dietrofront sul versante delle tasse ha costretto il governo a rinviare il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga (circa 330 milioni) e quello della social card (35 milioni). Questi interventi finiranno, come ha anticipato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi, in un decreto collegato alla prossima legge di Stabilità che sarà presentata martedì 15 ottobre. Il rifinanziamento della cassa in deroga andrà di pari passo, dunque, con l’introduzione graduale del reddito minimo, annunciato dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Che ieri è stato travolto dalle polemiche per colpa di una frase pronunciata in un convegno sui dieci anni della legge Biagi «L’indagine dell’Ocse sulle competenze alfabetiche e matematiche — ha detto il ministro — mostra come gli italiani siano poco occupabili perché molti di loro non hanno conoscenze minime per vivere nel mondo in cui viviamo e non costituiscono capitale umano su cui investire per il futuro». Parole «improvvide» secondo la Cgil, con il web scatenato. Poi la precisazione del ministro: c’è bisogno di maggiore formazione.
Dal blocco delle spese ministeriali deciso ieri sera, tuttavia, sono esclusi i Beni culturali, l’Istruzione, la Sanità e il Fondo per lo sviluppo e la coesione ed Expo 2015. Rinviata anche la decisione sulla cosiddetta “golden power” per proteggere i settori strategici come quello delle telecomunicazioni, dopo che Telecom Italia è caduta sotto il controllo degli spagnoli di Telefonica. È stato invece rifinanziato, ricorrendo a risorse del ministero dell’Interno, il Fondo per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
Da oggi Saccomanni sarà a Washington all’assemblea del Fondo monetario internazionale. «È molto importante — ha detto — poterci andare avendo riportato il saldo dell’indebitamento netto dentro la soglia del 3 per cento». Anche se il ministro non ha nascosto qualche «rimpianto » per via del fatto che le tensioni politiche abbiano rallentato la discesa dello spread. E ora si prepara la legge di Stabilità. L’obiettivo — ha detto Saccomanni — è ridurre insieme le spese e la pressione fiscale. «Dando un segnale significativo sul fronte del cuneo fiscale». Nessuna anticipazione, però, sull’entità del taglio.


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