Il Colle e le carceri, il sostegno di Letta

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MESTRE — «Difendo quel che stiamo facendo, è la direzione giusta per il bene dell’Italia… ». Per Enrico Letta niente è cambiato con la discesa in campo di Matteo Renzi, il presidente del Consiglio resterà concentrato sui problemi del Paese e starà alla larga dalle polemiche, determinato a tagliare il traguardo della primavera 2015: «Per voltare definitivamente pagina l’Italia ha bisogno di persone che ci credono e io ci credo… Quello che stiamo facendo è faticoso e il primo a essere affaticato sono io. Ma è la direzione giusta e permetterà al nostro Paese, nel 2015, di guardare al futuro con maggiore speranza». Prima, però, bisogna «rendere praticabile il campo da gioco» per il centrodestra e per il centrosinistra, «senza il cappio al collo del debito e del deficit». Un giro di parole con cui Letta smentisce di voler picconare il bipolarismo per far spazio a un partito dei moderati.
Ma c’è un confine che il premier difende come una frontiera dalle incursioni di chiunque e quel confine è il Colle. Letta lo dice con durezza, respingendo il giudizio renziano secondo cui amnistia e indulto rischiano di rivelarsi un autogol. «Non sono d’accordo — replica dal palco del Festival delle idee di Repubblica, rispondendo al direttore Ezio Mauro —. Il messaggio di Napolitano sulle carceri, se lo si legge, non contiene ambiguità di nessun tipo e chi ha voluto leggervi ambiguità ha fatto un esercizio sbagliato e di scarsa fiducia nel migliore presidente che potremmo avere». Renzi sbaglia e Letta non è d’accordo, concetti che più chiari non si può. Per il capo del governo l’inquilino del Quirinale è «un pilastro fondamentale del nostro agire e della nostra azione», è l’asse portante dell’architettura delle larghe intese e Letta non lascerà che venga anche solo scalfito.
Di tutto il discorso di Renzi a Bari, Letta ha respinto al mittente solo il passaggio sulla giustizia: «Napolitano ha fatto bene a porre così la questione carceraria». E la condanna di Berlusconi? «Per quello che riguarda me, non ha nulla a che vedere con quella vicenda».
Tutto il resto sono interpretazioni non autorizzate. Letta non vuole ogni suo pensiero e parola vengano letti come una replica a Renzi, non vuole che la sfida naturale con il quasi-segretario del Pd si apra prima del tempo, col rischio di terremotare il governo e di privarlo di un alleato fondamentale com’è stato fin qui Epifani. Si è parlato di un patto tra il pisano e il fiorentino, ma in realtà il massimo di intesa che Enrico e Matteo hanno suggellato con una (non calorosissima) stretta di mano a Palazzo Chigi, dieci giorni fa, ruotava attorno a una «civile convivenza».
Rispetto reciproco e niente colpi bassi. Al sindaco Letta riconosce di aver svolto «un ruolo molto positivo», anche nella risoluzione della crisi innescata dal Pdl. In quei giorni cruciali Renzi non ha soffiato sul fuoco e il premier gli rende il merito di «essere stato solidale», di aver sostenuto il governo con una scelta «giusta e utile», per l’Italia e «anche per il suo percorso» personale.
Dal «cul de sac» della crisi si esce solo così, pensando e agendo in positivo, altrimenti non vi sarà altra uscita che il populismo. Per lui è un’autentica ossessione, che anche ieri il capo del governo ha messo al centro del dibattito con Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo. Ha detto che il grande tema del congresso del Pd dovrà essere «cambiare l’Europa e sgonfiare il populismo» e che il Pd, per non essere asfittico, «deve saper parlare alla pancia e al cuore e non solo alla testa» della gente: «Se parliamo solo alla testa non vinceremo mai». E se molti vi hanno letto un messaggio in bottiglia per Renzi, che sull’Europa è stato molto critico, si tratta di interpretazioni non autorizzate: «Non voglio minimamente essere frainteso».
Monica Guerzoni


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