Il Cavaliere: scherzetti? Non ho paura
ROMA — Minaccia fuoco e fiamme: «Pensano di farmi qualche scherzetto a voto segreto? Bene, non mi fanno paura: li aspetto al voto sulla decadenza…». Ribadisce tutta la sua sfilza di accuse al Pd, al capo dello Stato che «non hanno fatto nulla per me, non hanno rispettato i patti». Tiene puntata la pistola verso tutti quelli che potrebbero «tradirlo», e lo fa permettendo ai falchi — da Santanchè a Bondi — di tenere altissimi i toni della polemica contro il governo e all’interno del Pdl. Ma Silvio Berlusconi, che tra oggi e domani dovrebbe tornare a Roma per riprendere in mano una situazione sempre più esplosiva, si sente e appare sempre più accerchiato.
Ai fedelissimi ieri ha esternato tutta la sua delusione per le dichiarazioni di appoggio e vicinanza sulle sue vicende giudiziarie di tutto il partito, che pure chiede unito a governo e Pd di fermarsi sul voto sulla decadenza e aspettare che divenga esecutiva l’interdizione: «Le parole, se non portano a fatti concreti, non servono a niente». E insiste che, se sarà votata la decadenza, governare assieme ai suoi «carnefici» sarà improbo. Ma anche lui sa che le vie d’uscita sono ridottissime.
La minaccia di far saltare il banco ieri ha subito infatti ben 4 colpi in rapida successione. In mattinata l’intervista al Messaggero di Gaetano Quagliariello nella quale si avvertiva che non esistono le condizioni per una crisi, su nessun terreno, anche perché i numeri del 2 ottobre non sono cambiati. Poi l’avvertimento del senatore Naccarato, del gruppo dei governativi, che lo metteva in guardia dal voto segreto sulla decadenza nel quale «potrebbe avere brutte sorprese…». In serata la lettera firmata da 24 senatori nei quali si difende a spada tratta il governo dagli attacchi pidiellini sulla legge di Stabilità (in nuce, è il gruppo degli Innovatori che però sarebbe anche più numeroso di quelli usciti allo scoperto). E ieri a cena infine l’ex premier, incontrando Maroni, ha appreso che la Lega non è affatto favorevole a eventuali elezioni subito: «Potresti passare all’opposizione a gennaio, febbraio, ma votare ora non converrebbe a nessuno, noi non lo vogliamo..», l’avvertimento.
Se a questo quadro si aggiungono i brutti dati di sondaggi e focus group, che testimoniano di un’immagine del Cavaliere molto logorata dagli scandali, le indiscrezioni, le scenette che riguardano la sua vita privata, si capisce come Berlusconi si senta un leone in gabbia. E perché i governativi da giorni gli sottopongano una soluzione per sbloccare l’impasse: per evitare il voto sulla Severino e una spaccatura in Aula con pochissime chance di farcela nonostante il voto segreto, il Cavaliere non faccia ricorso in Cassazione e accetti la condanna a due anni di interdizione. In questo modo, decadrebbe da senatore in tempi relativamente brevi (un mese o poco più), ma la legge Severino potrebbe anche essere sottoposta all’esame della Corte Costituzionale e modificata.
E però, allo stato, anche se aperture sulla linea invocata dal Pdl affinché ci si fermi sulla decadenza arrivano pure dai centristi («Siamo garantisti — dice Casini — attendiamo la definizione dell’interdizione») sembra che Berlusconi sia intenzionato a fare ricorso. Non solo per guadagnare tempo, ma anche perché gli avvocati ritengono che con quel passaggio si potrebbe arrivare a una abolizione anche in sede europea della legge sulla incandidabilità (precedenti ci sarebbero in questo senso da parte della Corte di Strasburgo, assicura Ghedini), e magari pure della condanna. E però, se il ricorso andrà avanti, è pressoché impossibile che il Pd decida di sospendere il voto sulla decadenza («Le scappatoie sono inesistenti», dice il responsabile Giustizia Leva), che arriverà al massimo ai primi di dicembre. E il redde rationem, in quel caso, sarà inevitabile.
Paola Di Caro
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