Il Cavaliere frena su Forza Italia. E sul voto

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Forza Italia può attendere. E se Berlusconi medita di spostare la data del battesimo dopo averne annunciato a lungo l’imminenza, vuol dire che ha accantonato l’idea delle urne: meglio, ha capito che da solo non può riuscire nella spallata al governo.

Berlusconi ha capito che non può permettersi di ritentare con i dadi come ha fatto il 2 ottobre, che non può essere lui a provocare la crisi, perché intanto non avrebbe la certezza di ottenere le elezioni mentre perderebbe di sicuro un pezzo del partito. Insomma, al Cavaliere manca la forza, non il coraggio. Non c’è dubbio infatti che farebbe un monumento a Renzi, se fosse il rottamatore a intestarsi l’operazione. Ma il sindaco di Firenze non ha intenzione di lasciare le proprie impronte, aspetta semmai che sia il leader del Pdl a muovere il passo.
E ieri una dozzina di fedelissimi berlusconiani ha provato a fare un regalo al capo. Se il blitz sulle riforme costituzionali — tentato nell’aula del Senato — fosse riuscito, sarebbero state consegnate al Cavaliere in un sol colpo le teste di Quagliariello, di Letta (e Alfano) e di Napolitano. Ma l’agguato — che al ministro delle Riforme ha ricordato «il giorno dello Sciacallo» — è fallito per l’intervento di Casini e soprattutto della Lega. Ed è stata la mossa del Carroccio — preannunciata peraltro al Cavaliere da Maroni e Calderoli — a far capire all’ex premier di non poter superare un’asticella posta ormai troppo in alto.
Senza elezioni immediate non ci sarà immediatamente Forza Italia. Se ne riparlerà più avanti, in vista del voto europeo, un appuntamento che servirà per testare la consistenza di un movimento che — nella testa di Berlusconi — dovrà proporsi con una struttura rinnovata, con una prima fila che non dovrà riprodurre la foto del gruppo dirigente del Pdl, ma andrà «parzialmente cambiata». Ci sarà bisogno di un innesto di «facce nuove» a far da corona al leader che avrà sempre lo stesso volto, gli stessi poteri, e — così immagina — lo stesso vice, Alfano, nei panni appunto del vicepresidente.
Ma a parte il fatto che di «facce nuove» per ora non se ne trovano, che il progetto ha contorni ancora poco chiari, ci sarebbe il problema dei poteri nel partito. Potrebbe il vice premier accettare un ruolo residuale, legato solo alla stesura delle liste elettorali? Fossero questi i problemi, anche se è di questo che si sta parlando in modo estenuante a ogni riunione, a ogni convocazione di «lealisti» e di «innovatori», con i primi che ripetono di non avere alcuna intenzione di consegnarsi ad «Angelino» e i secondi che temono l’abbraccio soffocante del Cavaliere. Troppo soffocante…
La verità però è anche un’altra. Berlusconi ha la testa sui suoi problemi personali, che sono problemi giudiziari. E il tempo non li risolve, anzi li moltiplica, con nuove inchieste, nuovi rinvii a giudizio. E siccome dopo Napoli si prepara Bari, e prima di Bari c’è magari il voto del Senato sulla decadenza, è umano venir risucchiati nell’abisso, volersi ribellare all’ingiusta fortuna, non ascoltare nemmeno i consigli di (alcuni) legali. L’avvocato Coppi, per esempio, l’aveva implorato di non ricorrere contro la recente sentenza della corte d’Appello che ha ridefinito la durata dell’interdizione per il caso Mediaset, così da non sfidare — a suo dire «inutilmente» — la Cassazione e concentrarsi sul processo Ruby. Macché, Berlusconi ha intignato. E allora Coppi si è sfilato.
Niente urne per ora, niente Forza Italia per ora. Anche perché, in fondo, il Cavaliere non ne può più di sentir parlare di progetti che evocano il futuro. Lui sa che il futuro non gli appartiene. Sebbene resti il capo indiscusso, sebbene il ventennio davvero non sia finito, sebbene tutti abbiano bisogno elettoralmente ancora di lui, lui per la prima volta ha bisogno di tutti. Andassero però a ragionar di prospettive da un’altra parte. «Angelino, ti prego, parla con Raffaele». Così ieri Alfano e Fitto si sono incontrati, e due ore non sono bastate a scalfire le incrostazioni depositate in questi mesi sul loro rapporto, che un tempo aveva fatto ingelosire molti nel partito.
«Ci rivedremo», si sono ripromessi e intanto separatamente sono andati a colloquio da Berlusconi. Restano formalmente divisi da quel check point Charlie che ha trasformato il Pdl in due Germanie, anche se entrambi sono consapevoli — e Fitto l’ha detto pubblicamente — che «l’unità è un valore», che una separazione equivarrebbe di fatto a un suicidio, perché si farebbero trovare disarmati quando — per sentenza — verrà il momento per il Cavaliere di fare un passo indietro. Certo, resta l’icona da mostrare in campagna elettorale, ma non sarà più la stessa cosa.
Perciò Berlusconi a volte morde il morso, si lascia entusiasmare dai disegni avventuristi di chi gli sussurra la crisi di governo, il voto anticipato, il successo nelle urne, un governo amico anzi famiglio che cambia le leggi e lo restituisce al potere. E ancora ieri ha chiesto ai suoi di andare all’attacco della legge sul negazionismo per provocare il Pd dopo esser stato provocato sul voto per la decadenza da Grasso, che inusitatamente ha dimenticato di essere il presidente del Senato. Ma l’esame di quella legge è stato rinviato. E anche Berlusconi ha rinviato il battesimo di Forza Italia.
Francesco Verderami


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