I rifugiati e il nodo dell’accoglienza: per l’Italia potrebbe essere la svolta

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ROMA – Il Parlamento Europeo ha approvato il 12 giugno del 2013 il Sistema europeo comune di asilo il cui obiettivo è uniformare le leggi sull’accoglienza di richiedenti asilo e protezione internazionale in tutti gli Stati membri. La riforma della normativa Ue in materia di asilo è stata caratterizzata dal tentativo di trovare un compromesso tra due pulsioni fondamentali in contrasto tra loro: da un lato, rafforzare le garanzie dei richiedenti asilo e delle persone che hanno diritto alla protezione internazionale; dall’altro prevenire l’abuso del diritto di asilo da parte di migranti non legalmente autorizzati ad entrare e risiedere nei territori dell’Ue. 

Le nuove regole sono tese ad assicurare che i richiedenti asilo non debbano migrare da uno Stato membro a un altro in cerca di condizioni più favorevoli o di procedure più veloci perché le loro richieste siano considerate e accolte. La legislazione vigente a livello europeo, infatti, non prevedeva una scadenza precisa entro la quale le richieste di asilo dovessero essere trattate. Con le nuove misure ogni Stato membro dovrà trattare le pratiche in un lasso di tempo di sei mesi, anche se sono previste eccezioni. Fra gli altri problemi affrontati con la nuova legislazione, c’è quello della detenzione dei richiedenti asilo – da prevedere solo in circostanze eccezionali e in strutture apposite diverse dai centri di espulsione – e una maggiore tutela dei minori non accompagnati. Prevista anche la necessità di maggiore formazione di coloro che lavorano nel campo delle richieste d’asilo (assistenti sociali, forze di polizia).  

In sostanza, il Sistema europeo di asilo è la risultante del recepimento di 4 nuovi strumenti giuridici: le direttive “Qualifiche”, “Accoglienza”, “Procedure” e regolamento di Dublino III. Sono 4 cambiamenti inseriti nel programma quinquennale di Stoccolma. Ma, secondo l’Asgi – Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – non si tratta di cambiamenti incisivi, capaci di migliorare effettivamente le condizioni dei rifugiati in Ue. “Ci sono solo dei miglioramenti nei testi delle direttive – spiega l’avvocato Gianfranco Schiavone – , c’è un aumento dell’armonizzazione europea, ma nella sostanza il percorso è estremamente modesto”. Le nuove direttive non riportano più la dicitura norme minime, ma semplicemente norme. Ciò significa superamento del livello minimo, ma a giudizio dell’Asgi si tratta di poco più che un escamotage linguistico che però non cambia la realtà. Le direttive si dividono tra disposizioni di recepimento obbligatorio e disposizioni che lasciano la libertà agli Stati di applicarle o no, che sono molto più numerose. Da queste disposizioni, ad arrivare a una procedura unica di asilo la strada è ancora estremamente lunga. Perciò il giudizio dell’Asgi non può essere positivo. “Certo è stato superato uno stallo politico, ma si tratta in ultima analisi di un compromesso”, commenta Schiavone.

Vediamo in dettaglio cosa prevedono le direttive e cosa potrà fare l’Italia per recepirle.
Direttiva “Qualifiche”. La direttiva “qualifiche” dovrà essere recepita entro dicembre. Il criterio di base è quello di diminuire la distanza tra rifugiati e titolari di protezione sussidiaria. In pratica elimina la possibilità di differenziare l’accesso ai diritti sociali, come il lavoro, la casa, e i servizi. Il punto cruciale di questa direttiva, su cui l’Italia può fare molto perché è estremamente indietro, è l’articolo 34, che prevede un diritto d’accesso ai servizi a parità con gli italiani. Ma in realtà, in Italia, il rifugiato che ha appena ottenuto lo status, non ha niente. Non ha casa, non ha lavoro, e non ha diritto all’accoglienza. Ad eccezione dei rifugiati nel sistema Sprar – il sistema di accoglienza dei comuni che attualmente conta 3 mila posti, che diventeranno 16 mila nel 2014 – per gli altri cessa l’accoglienza. Questo è il paradosso del sistema italiano. Il rifugiato viene accolto e riconosciuto come tale, ma poi viene abbandonato. Secondo l’Asgi, l’Italia dovrebbe arrivare non solo ad aumentare i posti di accoglienza, ma a prevedere il diritto del rifugiato a prescindere dai posti disponibili. Ovvero, chi ha la protezione internazionale dovrebbe avere diritto a un programma di seconda accoglienza. “Se ci fosse la volontà politica – sottolinea Schiamone – questo principiofarebbe fare un grande passo avanti all’Italia, ed è infatti questa la richiesta che ci fa l’Unhcr. Se si prendesse sul serio l’articolo 34 della direttiva, si potrebbe mettere mano a questo grande problema italiano, che riduce i rifugiati a senza dimora. Questa potrebbe quindi essere la svolta”.

Direttive “Accoglienza” e “Procedure”. Il recepimento di queste due direttive è previsto entro il 2015, ma l’Italia potrebbe già predisporre fin dai prossimi mesi un pacchetto di misure,che dovrebbe prevedere la riforma delle commissioni territoriali che giudicano le domande di asilo e l’abolizione dei Cara, i Centri per richiedenti asilo in attesa di ottenere la protezione internazionale. Per quanto riguarda il primo punto, c’è da sottolineare che in Italia esiste un problema legato alle commissioni, che hanno carenze legate alla competenza e all’indipendenza: le istruttorie sono carenti, le interviste sono carenti, gli esami approssimativi. Secondo l’Asgi le commissioni dovrebbero diventare organi indipendenti dalla pervasività degli orientamenti politico-amministrativi. Per quanto riguarda il secondo punto, secondo l’Asgi andrebbe superata la dicotomia Sprar/Cara. Ci vorrebbe un sistema unico di accoglienza decentrata che si può fare senza i grandi centri di accoglienza. In sostanza, dopo l’accoglienza, e dopo un primo soccorso, l’accoglienza va fatta al massimo decentramento. La direttiva “procedure” prende atto del problema delle frontiere, ma non incide invece sul soccorso dei migranti in mare.

Regolamento di Dublino. Il Regolamento Dublino III è entrato in vigore il 19 luglio 2013 ma si applicherà solo a partire dal 1° gennaio 2014. Fino a quella data, si continuerà ad applicare il Regolamento Dublino II. Strettamente collegato al Regolamento Dublino è il Regolamento Eurodac, che permette agli Stati di comparare – tra le altre cose – le impronte digitali dei richiedenti asilo. Tale regolamento si applicherà solo a partire dal 20 luglio 2015. Il Regolamento Dublino contiene i criteri e meccanismi per individuare lo Stato membro che è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o apolide. Ed è senza dubbio il “pezzo” del Sistema europeo comune di asilo più discusso e criticato, non solo dal punto di vista delle conseguenze negative sulla vita dei richiedenti asilo ma anche per la scarsa efficienza del sistema. Il regolamento Dublino III – spiega Alessandro Fiorini dell’Associazione Asilo in Europa – apporta una serie di novità importanti e certamente apprezzabili, in quanto in grado di attenuare parzialmente gli effetti negativi del sistema. Quello che una – pur positiva – modifica parziale del Regolamento di certo non potrà fare è rimediare ai problemi che stanno alla base del sistema Dublino, il cui impianto si regge su un presupposto non corrispondente al vero, cioè che gli Stati membri costituiscano un’area con un livello di protezione omogeneo. Al contrario, tutti sanno che non è così perché le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e i tassi di accoglimento di domande di protezione “simili” cambiano drammaticamente da un Paese all’altro. Ma non è tutto. Infatti, poiché allo stato attuale chi ottiene la protezione internazionale non ha poi la possibilità di lavorare regolarmente in un altro Stato UE, ciò significa che, salvo eccezioni, lo Stato che viene individuato dal sistema Dublino come competente ad esaminare la domanda sarà poi anche lo Stato in cui l’interessato dovrà rimanere una volta ottenuta la protezione. Ciò non tiene conto né delle aspirazioni dei singoli (o dei loro legami familiari o culturali con alcuni Paesi) né delle concrete prospettive di trovare un’occupazione nei diversi Paesi europei. Come se Malta, la Grecia, la Germania, la Svezia fossero la stessa cosa. Occorrono dunque interventi che vanno ben oltre qualche (benvenuta) modifica a Dublino.

Le principali novità introdotte da Dublino III. Alcune definizioni sono (leggermente) più ampie, altre sono introdotte per la prima volta (parenti, rappresentante del minore non accompagnato, rischio di fuga); obbligo di considerare sempre l’interesse superiore del minore, possibilità di ricongiungimento più ampie (e in generale più garanzie) per i minori; divieto esplicito di trasferire un richiedente qualora si abbiano fondati motivi di ritenere che vi sia un rischio di trattamenti inumani o degradanti; obbligo di fornire più informazioni ai richiedenti (sia prima che dopo l’eventuale decisione di trasferimento) e di condurre un colloquio personale (prima della decisione di trasferimento); regole più chiare (ma più restrittive) sulla competenza in caso di “persone a carico”; si chiariscono in maniera opportuna gli obblighi dello Stato competente; termini più stringenti per la procedura di presa in carico e introduzione di termini per la richiesta di ripresa in carico. Il ricorso contro una decisione di trasferimento (pur non automaticamente sospensivo) offre sicuramente molte più garanzie rispetto a Dublino II. Introduzione di limiti, anche temporali, al trattenimento delle persone soggette alla procedura Dublino (ma rimane elevato rischio-discrezionalità. Chiarite modalità e costi dei trasferimenti. Obbligo, prima di un trasferimento, di scambiarsi dati (anche sanitari) necessari a garantire assistenza adeguata, continuità della protezione e soddisfazione di esigenze specifiche, in particolare mediche. Introduzione di un “meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi” in caso di rischio di speciale pressione sul sistema di asilo di un Paese e/o in caso di problemi nel funzionamento dello stesso. (ab)

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