I paletti del premier sulla legge elettorale

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ROMA — Per Letta una nuova legge elettorale dovrebbe già esserci. Si è perso sin troppo tempo finora. E forse stare a discutere di modelli totalmente nuovi può confliggere con l’urgenza di cambiare il Porcellum prima del 3 dicembre, almeno in prima lettura, quando a farlo sarà probabilmente la Corte costituzionale con una sentenza.
Difficilmente Letta commenterà il discorso di ieri di Matteo Renzi, non l’hai mai fatto, è materia precongressuale del suo partito, dalla quale è sempre rimasto fuori. E del resto ci sarebbe anche poco da commentare, le dichiarazioni programmatiche del sindaco di Firenze sono fin troppo plausibili per il presidente del Consiglio: figuriamoci se il premier non vuole una riforma della giustizia, materia delegata in parte ai saggi nominati da Napolitano e soprattutto nodo ormai centrale di ogni progetto che riguardi il futuro del Paese.
E se dalle riforme della giustizia, civile e penale, dipende una larga chance di recupero di appetibilità agli investimenti esteri, da parte dell’Italia, figuriamoci se il premier non è d’accordo con uno degli altri slogan scelti da Renzi ed enfatizzati nell’ultimo giorno della sua Leopolda: mai più larghe intese? Letta ha sempre definito la ragione del suo esecutivo anche in questo senso; riforme, elettorale e istituzionali, per restituire il campo della politica a funzioni esecutive e parlamentari più efficaci, chiare e in grado realmente di operare. «Non è il mio governo», ha detto più volte: è in fondo la stessa cosa, fanno notare a Palazzo Chigi.
E allora? E allora a cercare bene c’è solo un margine di incertezza, anche agli occhi del capo del governo, nelle parole di Matteo Renzi: quello della legge elettorale. Perché parlare di riforma sul modello dei sindaci quando è chiaro che al momento serve solo una sorta di «ruota di scorta» elettorale, in primo luogo per non trovarci con un Parlamento delegittimato, se la Consulta bocciasse il Porcellum, così com’è chiaro che la vera legge dovrebbe arrivare solo al momento delle riforme della Costituzione, a cominciare dalla correzione del bicameralismo perfetto e come conseguenza delle riforme stesse?
Perplessità che ieri in qualche modo ha rimarcato anche Gianni Cuperlo, l’altro candidato alla guida del Pd: «Io vorrei capire da Matteo Renzi se la cancellazione del Porcellum è ancora una priorità. Io dalle sue parole alla Leopolda non l’ho capito. Dobbiamo diradare un po’ di nebbia dalla vicenda della legge elettorale, io comprendo che le esigenze della propaganda possano portare a semplificazioni. Ma queste semplificazioni rischiano di fare confusione e ai cittadini va detta invece la verità».
Insomma Letta non dirà mai «propaganda», Cuperlo ha indubbiamente più libertà politica per cercare di «stanare» il sindaco di Firenze, che però non può non sapere tutte queste cose, osservano ancora a Palazzo Chigi. Discutere oggi di un modello che potrà essere scelto con cognizione di causa solo al termine del percorso riformatore che questo governo si è dato, e sul quale ha ottenuto la fiducia per ben due volte, significa forse continuare a coltivare quei margini di incertezza politica che lo stesso Renzi esclude in pubblico di perseguire.
Ci sarebbe da aggiungere, fanno ancora notare, che le larghe coalizioni non sono di certo un male in sé, in altri Paesi, quando occorrono, il giorno dopo il voto ci si dedica alle riforme necessarie cercando di dimenticare le differenze. «Ma questo è un altro discorso, forse prevede una maturità civica di cui purtroppo in Italia si faticano a vedere i segni, qui si gioca ancora a chi mette più bandierine sui provvedimenti, da una parte e dell’altra», notano con una punta di amarezza i collaboratori del presidente del Consiglio.
Marco Galluzzo


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