I falchi, la caduta e (poi) le capriole

by Sergio Segio | 3 Ottobre 2013 7:10

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ROMA — Renato Brunetta sbuca all’improvviso da una porta e va a fermarsi quasi al centro del salone Garibaldi (per capirci: qui a Palazzo Madama è il salone che bisogna attraversare per andare dalla buvette all’emiciclo). Mezzogiorno passato da dieci minuti e ancora nessuno ha capito se Berlusconi e le truppe che gli sono rimaste fedeli voteranno la fiducia al governo. Però forse Brunetta sa qualcosa.
Mucchio dei cronisti, solita mischia, gomitate e microfoni. Brunetta, immobile, aspetta mettendo su la sua caratteristica maschera, che non sai mai se è un sorriso di scherno o un ghigno di soddisfazione.
Tossisce.
Diventa serissimo.
«Allora… abbiamo deciso di votare la sfiducia!» (quasi urlando).
Una scelta sofferta?
«Una scelta di coerenza! Ci siamo riuniti e abbiamo discusso…».
Quanti senatori erano presenti?
«La grande maggioranza dei senatori era presente. È stata una riunione formale con una discussione seria e approfondita. La decisione finale è stata approvata all’unanimità».
All’unanimità?
«Cosa ho detto? U-na-ni-mi-tà» (Sapete quando poi Brunetta perde la pazienza).
Proviamo a ricostruire. La riunione si è tenuta nella sala Koch. Con Berlusconi, presenti solo una cinquantina di senatori, anche se in totale sono 91 quelli eletti nel Pdl. L’ala dura del partito, «falchi» più o meno grandi, tutta schierata. Verdini (torvo, lo sguardo basso del generale che deve ammettere decine di diserzioni), Ghedini (al quale, raccontano, per tutto il tempo non si è mosso un muscolo del viso), e poi Bondi, Bonaiuti, Maria Rosaria Rossi, Romani, Nitto Palma.
Berlusconi parla poco, appare esausto, turbato, incerto. Ad un certo punto entra Lupi e, con la voce che è un soffio, annuncia un documento a favore della fiducia firmato da 23 senatori pidiellini. Si sente uno che dice: «Carogne…». Qualche senatore suggerisce prudenza. L’uscita dall’aula potrebbe essere una mossa. Altri chiedono una linea ferma. E la linea c’è: è stata decisa nella notte a Palazzo Grazioli. Verdini: «Si vota la sfiducia. Punto». Bondi: «Esatto». Ghedini annuisce con la testa. Così era stato deciso, e così bisogna fare. Non è ben chiaro come e perché, ma qualcuno decide di mettere ai voti la decisione: mai, negli ultimi vent’anni, qualcosa che riguardasse personalmente Berlusconi è mai stata messa ai voti. Procedono e probabilmente il Cavaliere neppure se ne accorge. Comunque una maggioranza c’è.
Brunetta, in quanto capogruppo alla Camera, si prende l’incarico di venirci ad avvertire; gli altri tornano in aula.
Bondi si siede ed è evidente che gli tremano le mani. I suoi tratti somatici sono come alterati. Non c’è traccia del suo sguardo curiale. Resta seduto un paio di minuti e poi di colpo balza in piedi e comincia ad urlare verso i banchi del Pd: «Vergognateviiiii!».
Scilipoti, che gli è accanto, si spaventa e fa per scostarsi. Quagliariello china il capo (arrivando, Bondi gli era andato incontro minaccioso, battendogli le mani e dicendo: «Da quanto aspettavi una giornata così? Bravo Gaetano, bravo…».
Verdini, intanto, non smette di fare calcoli, e scrive su un foglietto, e somma, sottrae, cancella nervosamente, i conti non tornano, sbuffa, impreca. Ghedini al telefono, con la mano davanti alla bocca, fa segno di no. Maria Rosaria Rossi: «Questa scelta di votare contro il governo è purtroppo l’unica possibile… Non c’è altro da fare».
I fotografi, dall’alto, giocano a fare gli etologi. Raccontare l’attesa dei «falchi». Coglierne l’ansia prima dell’attacco, il voto vissuto come l’ultimo volo. Migliaia di fotogrammi vengono scattati: e nessuno che si accorga però del lampo che, improvvisamente, illumina lo sguardo spento del Cavaliere.
Fregarsene dei suggerimenti forniti dai duri del suo esercito.
Sparigliare la scena.
Sorprendere.
Provare l’unica mossa per evitare la sconfitta sicura.
Votare la fiducia.
(Un’ora dopo )
Ghedini è cereo. Nitto Palma prende a male parole un senatore due file accanto. Bonaiuti si tiene la testa tra le mani. Il capogruppo del Pd Zanda ha consigliato a Bondi di non paragonare più Berlusconi a Berlinguer e adesso Bondi replica cercando l’esercizio retorico: «Zanda fa bene a trattarci con un tale disprezzo…».
Ciò che resta dell’ala dura del partito è stordita, umiliata, rassegnata. Alla Camera, Daniele Capezzone ha la voce che gli trema: «Voto la fiducia perché me lo ordina Berlusconi». E la Santanché? Già, ecco: la Santanchè che fine ha fatto?
«Sono qui… mi cercava?» (in abito vintage turchese, cronografo d’oro al polso, tacco 14 d’ordinanza).
Triste?
«Io? E perché? Oggi ha vinto Berlusconi: lei non se ne è accorto?».
Guardi che Berlusconi si è arreso…
«Macché! È un genio, ha spiazzato il Pd. Ma li ha visti? Basiti».
Voi «falchi» uscite spennati. Ora con Alfano sarà…
«Non ho mica il complesso di dover piacere a tutti, io».
Il Pdl, comunque, si è spaccato.
«Sciocchezze! Le guerre son fatte di tante battaglie… piuttosto, qui adesso ci vuole proprio una bella sigaretta: ha mica da accendere?».
Fabrizio Roncone

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