Giallo sulla morte dell’hacker di Stato

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Diventa un giallo la vicenda di Mojtaba Ahmadi, l’ex-capo degli hacker di Stato iraniani trovato morto lunedì mattina in un’area boscosa nei pressi di Karaj, nord est di Teheran. Le Guardie Rivoluzionarie, i Pasdaran, negano che si tratti di un omicidio e annunciano «indagini attraverso canali ufficiali… Ogni speculazione prima del termine delle indagini è inappropriata», riporta l’agenzia Sepah news. Il testo parla di «orribile incidente» e senza riportare nomi, sostiene che «si indaga sull’episodio e sulla ragione principale dell’accaduto e il movente dell’assalitore non è stato precisato». Il quotidiano britannico Daily Telegraph, che ieri per primo ha dato la notizia in Europa, invece parla di assassinio – citando le dichiarazioni di un comandante di polizia locale – e ricorda che dal 2007 sono stati uccisi in Iran cinque scienziati nucleari e il capo del programma di missili balistici, azioni delle quali il regime di Teheran ha accusato il Mossad, il servizio segreto israeliano.
La smentita dei Pasdaran convince poco. Anche perché è stato proprio un sito iraniano Alborz a riferire che Ahmadi è stato ucciso da due colpi di arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata, pare da due uomini. E’ possibile che la guardia di elite iraniana non voglia dare visibilità a quello che a molti è apparso come un altro «colpo» del Mossad che negli anni passati, secondo fonti internazionali, avrebbe assassinato alcuni scienziati coinvolti nel programma nucleare iraniano e il capo del programma di missili balistici. «Ho potuto vedere ferite da arma da fuoco sul suo corpo e l’estensione delle ferite mostra che è stato assassinato da breve distanza», ha dichiarato il comandante della polizia locale. Ahmadi era uscito di casa per recarsi al lavoro, ma è stato bloccato da due uomini in motocicletta.
Da tempo è in atto una guerra cibernetica tra Usa e Israele da una parte e l’Iran dall’altra. Ahmadi sarebbe stato coivolto in azioni di sabotaggio contro obiettivi militari Usa, in particolare contro la Marina americana. L’Iran, a sua volta, è stato bersaglio di attacchi hacker da parte degli Stati uniti che nel 2010 avrebbero danneggiato il programma nucleare di Tehran con il virus Stuxnet. Sempre nel 2010 un altro virus colpì le centrifughe dell’impianto di arricchimento di uranio di Natanz. L’anno dopo le autorità iraniane hanno annunciato di aver cominciato a pianificare cosiddette “linee di difesa” e gli stessi Pasdaran in seguito avevano reso noto di voler avere una propria divisione per contrastare la cyberguerra.
L’assassinio dell’ex hacker iraniano è avvenuto mentre comincia a decollare il dialogo tra Washington e l’Iran rimasto fermo per 30 anni grazie alle aperture fatte dal presidente Hassan Rowhani. Aperture ridimensionate alle Nazioni unite dal premier israeliano Netanyahu, fortemente preoccupato da una normalizzazione dei rapporti tra Usa e Iran, al punto di descrivere Rowhani come un «lupo vestito da agnello». Proprio ieri il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha provato a tranquillizzare Israele affermando che non si procederà con il dialogo se Tehran non prenderà misure concrete riguardanti il suo programma atomico. «Se l’Iran vuole una svolta pacifica, credo ci sia un modo per arrivarci», ha detto Kerry. Oltre all’auspicio di successo dei negoziati col presidente Hassan Rohani, ci devono essere azioni che diano «certezza su ciò che accade».


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