FRANCA RAME DUE ANNI IN SENATO

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Il momento più complicato? La discussione sulla Finanziaria nel dicembre del 2007…
In fuga dal senato
è l’ultimo libro scritto da Franca Rame, poco prima della sua morte, lo scorso 29 maggio. Un diario, dettagliato, serio ma anche grottesco, di quando l’attrice, compagna di una vita di Dario Fo, fu senatrice della Repubblica dall’aprile 2006 al gennaio 2008: un autentico «racconto dello sdegno» di una artista colta, coraggiosa, animata di passione civile che per due anni ha combattuto nella palude della politica italiana. Il libro, infatti, è l’amara confessione di una impotenza: quella della cittadina che trovandosi nella stanza del potere si dà da fare per migliorare le cose e invece si scontra col cinismo, l’opportunismo, la malafede, con l’odioso muro di gomma dei professionisti della politica «che prendono 15 mila euro al mese di stipendio, perfino 150 euro per l’indennità parrucchiere, più 5 mila euro al mese per i portaborse, spesso nemmeno pagati».
In Senato Franca Rame era entrata candidata dall’Italia dei Valori, dopo che il figlio Jacopo aveva lanciato la proposta sul web ed era stato subissato dai “sì”. Lei era andata convinta di portare avanti le sue battaglie su ambiente, spesa pubblica, morti bianche, donne, migranti. Ma «dilazionare i tempi è lo sport preferito del Senato» scrive da subito nel suo diario. I primi giorni già ingoia rospi: il sorrisino di Andreotti che la apostrofa “cara piccina”; il baciamano sardonico di Dell’Utri che avendo diffamato lei e Dario per lo spettacolo Anomalo bicefalo ora le dice: «Non si preoccupi per quel milione di euro di danni che ho chiesto». «Grazie onorevole — replica lei pronta — Si preoccupi lei. Quel processo lo vinceremo».
E così è stato.
Nelle 310 pagine, viene fuori che il Senato è un luogo ad alto tasso di incomprensione e turbolenza: come quando Di Gregorio con un colpo di mano si fa eleggere dal Pdl alla presidenza della commissione Difesa tra i battimano sguaiati di Schifani e La Russa; o quando Franca trova addirittura la sua firma falsa su 314 emendamenti in commissione giustizia per la concessione dell’indulto; e ancora quando assiste al voltafaccia dei suoi stessi compagni di lista che votano contro lo scioglimento della società del Ponte sullo Stretto… E tutto questo mentre le interrogazioni sui bambini di Taranto afflitti da sindrome del fumatore per via dell’Ilva o sulla parentopoli nella pubblica amministrazione, cadono nel vuoto. «Mi sono sentita parte di un branco di malfattori vestiti e truccati da senatori…Sono stanca di essere ‘il numero’ per non far cadere il governo…», scrive con sconforto. La “fuga dal Senato” avviene il 15 gennaio del 2008 con le dimissioni irrevocabili al presidente Marini a cui denuncia che ogni sua azione è caduta nel vuoto. Tranne una: la battaglia contro l’uranio impoverito che dal ’96 nei Balcani fino al 2006 in Iraq ha fatto 77 vittime e 312 malati di leucemia tra i soldati. Dopo mesi di insabbiamenti, rinvii della commissione, latitanza dell’allora ministro, finalmente nel 2012 il tribunale di Roma sentenzierà che quelle morti sono causate dall’uso di ordigni a uranio impoverito e il ministero della Difesa dovrà risarcire le famiglie. «Lottando si può fare giustizia », commenta Franca nel libro. Ecco la sua eredità.
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IL LIBRO
In fuga dal Senato di Franca Rame (Chiarelettere pagg. 310 euro 13,90)



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