E ora il Capo teme la scissione

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 QUELLA del Cavaliere sembra una rotta di avvicinamento. Ma prima tenta di impedire a chiunque di intervenire, di esprimere dissenso. Il dissenso, però, matura comunque. Serpeggia, si fa rumoroso. Cicchitto chiede di intervenire e non gli viene concesso, va via sbattendo la porta. Ma lo scontro più fragoroso è con Angelino Alfano. In serata lo raggiunge a Palazzo Grazioli. Gli comunica che gli ormai ex ministri restano contrari alla crisi. Hanno rassegnato le dimissioni «per spirito di servizio» però domani non garantiscono il voto di sfiducia a Letta. Anzi.
Con loro, decine di deputati e senatori, è la stima che fanno gli stessi Alfano, Lupi, Quagliariello, Lorenzin, De Girolamo, che fanno il punto tra loro subito dopo il termine dell’assemblea. È sera su Roma. Silvio Berlusconi esce scuro in volto dalla Sala della Regina, dove va in scena il suo ultimo tentativo di tenere unito il partito. Si chiude una giornata nera, d’altronde, segnata anche dai titoli Mediaset crollati del 4 per cento, dalla Borsa terremotata dall’incubo crisi, le cancellerie europee partite di
nuovo all’attacco del leader del centrodestra italiano.
Tutto era iniziato sotto i peggiori auspici. In mattinata, dopo aver rassegnato a Palazzo Chigi dimissioni irrevocabili, i cinque ministri siglano una nota violentissima contro il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, «reo» di aver tacciato di tradimento i dissidenti di questi giorni sulla crisi. Si fa riferimento al «metodo Boffo», a un sistema di minacce e avvertimenti di cui Alfano e gli altri ammettono l’esistenza. «Se pensa di intimidire noi e il libero confronto dentro il nostro movimento politico, si sbaglia di grosso — scrivono — il metodo Boffo non funzionerà con noi». Col direttore che replica: «Neanche io ho paura». È solo il detonatore. Berlusconi arriva a Roma in tarda mattinata, si chiude a Palazzo Grazioli e convoca proprio i cinque ex ministri. Più che un pranzo, è una resa dei conti dai toni assai aspri. Quagliariello è il più schietto: «Siamo in totale disaccordo sulle dimissioni imposte. Riteniamo che questo possa tradursi in un danno per il Paese, per il partito, ma anche per te. Quel che ti suggeriamo è di far ritirare le dimissioni dei parlamentari e prendere tempo sul governo».
Alfano scandisce quel che secondo loro dovrebbe essere il timing: «Ascoltiamo cosa dirà Letta in aula su giustizia, economia, riforme e amnistia. Poi valuta che fare». Berlusconi insiste: «Per me bisogna andare alle elezioni, chi sta sbagliando siete voi». Alza la voce ricordando le dichiarazioni della domenica con cui hanno sparato a zero contro gli «estremisti» interni
e l’apertura della crisi: «Scusate, ma non avete rassegnato voi le dimissioni nelle mie mani, nei giorni scorsi, di cosa vi lamentate adesso? Non siete stati voi a dirmi che Letta stava aumentando le tasse? Che volete adesso?».
Nello stesso tempo li ammansisce sulla storia degli estremismi dei falchi. «Lo so, Daniela Santanché esaspera i toni, se diventerà
un problema la emargineremo, ma non vi permetto di pensare che le mie decisioni siano influenzate da lei». I ministri a quel punto gli propongono di rinviare almeno l’assemblea dei parlamentari del pomeriggio, convocarla quando il quadro sarà più chiaro. Nulla da fare. Il Cavaliere chiude con loro, incontra Verdini, Capezzone e Santanché e conferma la convocazione dei gruppi. Sembra passare la linea dura.
I cinque ministri arrivano in Sala della Regina insieme, stesso ascensore fino al secondo piano, poi marciano insieme, effetto scenico che sa di messaggio al partito. Lupi e Alfano si fermano nel corridoio e si confidano all’orecchio, poi entrano. Berlusconi arriva poco dopo, accompagnato dalla sola Maria Rosaria Rossi. Alfano e i capigruppo Schifani e Brunetta siedono al suo fianco al tavolo. «Abbiamo concordato la linea, parlerò soltanto io» dice il capo forzista prima di cominciare in un sermone lungo oltre mezzora sulla giustizia, che lascia silenziosi e sorpresi i presenti. Ancora per dire che una ricerca Euromedia avrebbe evidenziato come gli italiani «non sappiano davvero quanto potere abbia Magistratura democratica: voi dovrete essere miei avvocati, spiegarlo ai cittadini ». Poi il governo. «È un’esperienza finita: si possono approvare in una settimana i decreti su Iva, Imu, la legge di stabilità a patto che non aumenti la pressione fiscale, e poi andare a nuove elezioni». E per rafforzare il concetto, sorprende i presenti sostenendo che «l’attuale legge elettorale è la migliore per garantire stabilità». Dice che i sondaggi li danno in vantaggio non solo alla Camera, ma anche al Senato. Ma di applausi, a parte quello seguito alla storia della persecuzione giudiziaria e l’annuncio del
ritiro «responsabile» delle dimissioni dei parlamentari, non se ne sentiranno. Silenzio di tomba nella grande sala quando apre il capitolo ministri. «Con loro è tutto chiarito, ma dovevano lavare i panni sporchi in famiglia, hanno ragione a temere una perdita di consenso, ma ormai è tutto superato ». Capisce che il clima tuttavia è cambiato. «Noi possiamo anche cambiare idea, ma discutiamone tra noi». È l’unico spiraglio che concede alle colombe che diventano maggioranza inattesa.
Berlusconi va via. Ma la storia non si chiude lì. «Mi sembra evidente che il presidente abbia annunciato il voto di sfiducia» tagliano corto in Transatlantico, entusiasti, tutti i falchi. Da Capezzone a Minzolini. In realtà la partita si è appena riaperta. «Sfiducia? Mai pronunciata dal capo» risponde serafico un ministro. I cinque si rivedono subito dopo l’assemblea e studiano il rilancio. Coordinano le truppe ormai in rotta. Tutto il partito è sull’orlo dello smottamento, soprattutto al Senato. Le dimissioni dei ministri sono state rassegnate. Sono irrevocabili. Ma il premier Letta potrebbe respingerle e a quel punto loro tornerebbero in gioco.
Quel che è certo è che il capodelegazione Alfano torna dal Cavaliere a Grazioli, è sera inoltrata, e illustra il quadro. Drammatico, per il padrone di casa. Loro, i cinque ex ministri restano della loro opinione: «No alla crisi, per il bene del partito, ci darebbero tutti addosso, ci accuserebbero di aver causato il tracollo economico». Raccontano che l’ex vicepremier abbia prospettato lo spettro dello sdoppiamento dei gruppi al momento della fiducia. Una scissione nei fatti. Forza Italia da una parte, il Pdl moderato, dall’altra. Il fedelissimo Angelino lascia il Cavaliere a meditare per un’altra notte insonne, un giorno di tempo per decidere se restare alla guida di una Forza Italia dei falchi o ricompattare tutto e consumare la più clamorosa delle retromarce. Berlusconi sente che non ha via d’uscita, stavolta si ritrova all’angolo.


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