by Sergio Segio | 21 Ottobre 2013 6:53
TRIVELLAZIONI, impianti a biomasse, caccia, pale eoliche, commercio di fauna, cave, elettrodotti sono i pericoli che incombono sui nostri parchi naturali, denunciati dalle maggiori associazioni ambientaliste e animaliste. Una procedura d’urgenza votata qualche settimana fa dal Senato è infatti accusata di voler forzare la mano contro la legge 394/91, l’unica in vigore dedicata alla tutela delle aree naturali protette assieme alla 157/92 che regolamenta fauna selvatica e attività venatoria.
Si accelera così l’approvazione di una nuova legge, mentre Cts, Fai, Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness, Pronatura, Touring club italiano e Wwf Italia, ma pure Enpa e Lav, sono tutte avverse al tentativo di riforma sommaria. Non si tratta di una critica squisitamente formale: due disegni di legge molto simili, presentati dai senatori Antonio D’Alì (Pdl) e Massimo Caleo (Pd), indicano lo sfruttamento delle risorse come soluzione ottimale per gestire le nostre più preziose isole ambientali, terrestri e marine. Vi si sostiene che, attraverso l’imposizione di dazi, i parchi ripagherebbero da sé la propria manutenzione. Una follia, per chi al contrario reputa prioritario rafforzare le misure adatte a garantire conservazione e sopravvivenza del territorio minacciato. In tale direzione va piuttosto un disegno presentato dalla senatrice Loredana De Petris (Sel).
Fra i punti più dibattuti dei testi della discordia, l’avallo a sfruttare, previo canone, suolo, acqua, fauna, all’interno dei parchi o nelle zone limitrofe, delicate aree cuscinetto. Via libera a pontili, coltivazione di idrocarburi, prospezione ed estrazione di petrolio, uccisione e vendita di animali. Si presume inoltre che nei parchi simili attività (con l’eccezione del massiccio controllo faunistico) già esistano, limitando gli oneri alle concessioni in atto e senza prescrivere iniziative future.
«Si trascura l’impegno dei parchi a svolgere la propria missione, creando ad esempio un ponte fra finanziamenti e attività di conservazione naturalistica. Molte e rilevanti, invece, le modifiche alla 394, nessuna a favore della biodiversità » spiega Danilo Selvaggi, direttore generale della Lipu-Birdlife Italia, già ascoltato dalla Commissione ambiente e territorio del Senato. «E non un riferimento a Natura 2000: pochi mesi fa il Consiglio di Stato, per un mero vizio di forma, ha clamorosamente cancellato lo status di aree protette per i siti della rete riconosciuti dall’Europa. In Italia insomma le aree protette comunitarie non sono tali!». Aggiunge Annamaria Procacci, consigliere nazionale dell’Enpa, l’Ente nazionale protezione animali: «Ci ritroviamo di fronte a una sbalorditiva visione economicistica del territorio protetto. Dimenticando la priorità di preservare la natura, non si affrontano i punti critici della legge corrente (scarsità dei finanziamenti, nomine fortemente politicizzate, subordinazione alle logiche territoriali) promuovendo sfruttamenti dal fortissimo impatto ambientale».
«Prelievi», «eradicazioni» sono i termini con cui si vorrebbe consentire la caccia nelle oasi naturalistiche. «Un ipotetico regime di controllo che renderebbe la licenza di uccidere nei parchi più ampia di quella consentita nel territorio non protetto» prosegue la Procacci. «Regolare la fauna con gli abbattimenti si è sempre rivelato inutile. Meglio sarebbe curare le risorse disponibili, favorire la presenza dei predatori e prevenire ». Principale oggetto della ritorsione venatoria è il cinghiale, non più autoctono, introdotto dagli anni 60 quando il più piccolo Sus Italicus fu quasi estinto dai cacciatori. A quali altre specie dovrebbe poi estendersi il controllo faunistico? Gli interventi sui volatili soggiacciono all’articolo 9 della Direttiva Uccelli, appena recepita dall’Italia, che cerca di uscire da un regime di condanna europea a causa delle troppe deroghe. «Ai cinghiali si attribuisce l’80% dei danni, eppure continuiamo a immetterli ovunque. Indispensabile il divieto categorico di ripopolarli », conclude Selvaggi: «Quanto allo spinoso tema delle royalty, è opportuno che il parco sviluppi capacità di autopromuoversi, ma va considerato un valore, non certo merce». Paghi quindi chi danneggia, inquina e ne utilizza i servizi — acqua, aria, territorio — ma si rafforzino i vincoli di protezione, impedendo l’avvento di nuove, dannose attività.
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