by Sergio Segio | 22 Ottobre 2013 7:13
MOSCA — Tornano le vedove nere, le «shakhidka» , donne kamikaze del Caucaso. E non è un buon segnale in vista delle Olimpiadi invernali di Sochi che il capo dei terroristi ceceni Doku Umarov vuole far finire nel sangue.
Naida Asiyalova aveva trent’anni e forse era malata terminale di cancro. Ieri è salita su un autobus di Volgograd, la ex Stalingrado, e si è fatta saltare in aria in mezzo a decine di passeggeri, molti dei quali studenti. Un boato, fumo e pezzi che volavano da ogni parte, il tutto ripreso dalla telecamera di un’auto che seguiva il mezzo pubblico. A sera si contavano sei morti e trentatre feriti, tra i quali undici ragazzi e un bimbo piccolo. Otto dei feriti erano considerati in condizioni critiche.
È la ripresa della campagna che il cosiddetto emiro del Caucaso conduce da anni contro la popolazione russa, per portare, come afferma, l’orrore della guerra dentro la casa della gente comune. Due anni fa l’ultimo attentato suicida in grande stile contro i civili, quello dell’aeroporto di Domodedovo a Mosca con 37 morti e 180 feriti. Poi, quando sono iniziate le manifestazioni di piazza contro Putin, Umarov ha dichiarato una moratoria unilaterale, per vedere come andavano a finire le vicende politiche russe. Questa estate, con l’avvicinarsi delle Olimpiadi nel Caucaso, proprio a ridosso della Cecenia, del Daghestan, dell’Inguscezia, della Kabardino-Balkaria, le repubbliche a maggioranza islamica che ricadono sotto la sua «sfera di influenza», Umarov ha decretato la ripresa delle stragi.
La kamikaze veniva proprio dal Daghestan ed era la moglie di un russo passato con i terroristi ai quali ha assicurato le sue competenze nel campo degli esplosivi. Sarebbe stato lui a preparare molte delle cinture indossate da donne, in buona parte vedove di guerriglieri, che negli ultimi tempi hanno portato a termine molti attentati in quelle repubbliche. Non contro civili, ma quasi unicamente contro esponenti delle forze dell’ordine fedeli a Mosca.
Secondo una agenzia di informazioni caucasica vicina ai servizi russi, il nome della Asiyalova era comparso tempo fa sui siti legati agli estremisti islamici. Era stata effettuata una raccolta di soldi per assicurarle delle cure. Poi per mesi più nulla, fino all’attentato di ieri.
L’esplosivo era relativamente potente e all’interno di una struttura chiusa come un autobus ha avuto effetti devastanti. Quelli che erano vicini alla donna non hanno avuto scampo.
Fabrizio Dragosei
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