by Sergio Segio | 12 Ottobre 2013 7:13
Sostiene il Fmi che, per la settima volta in sette anni, sarà possibile verso la fine del prossimo anno una piccola ripresa dell’economia e che già ora si intravede una luce in fondo al tunnel, a patto che ci si attrezzi con le riforme necessarie. Sostengono tutti la necessità di controllare le frontiere e di trattenere i disperati a casa loro, affinché non vengano a morire a centinaia davanti alle nostre coste, costringendoci a versare lacrime di coccodrillo e promesse da ministro.
Nel frattempo, il governo Letta prepara, come collegato alla prossima legge di stabilità, il Piano Destinazione Italia , un documento strategico che dovrà vederci tutte e tutti concorrere alla costruzione di un paese attraente per i grandi investimenti finanziari provenienti dall’estero. Una sexy Italia che consentirà ai capitali finanziari di usufruire di un nuovo accordo fiscale, di una normativa del lavoro che estenda la deregolamentazione già approvata per l’evento Expo 2015, di una semplificazione della legislazione ambientale, della dismissione di tutto il patrimonio pubblico e demaniale, di un rilancio delle grandi opere e della privatizzazioni dei servizi pubblici locali, i cui introiti verranno esclusi dai vincoli del patto di stabilità. In pratica, all’unico scopo di perpetuare il capitalismo finanziarizzato e a dispetto del suo totale fallimento, si dichiara una vera e propria guerra alla società, basata sulla trappola del debito pubblico e sul mantra “i soldi non ci sono”, da contrapporre ad ogni rivendicazione sociale. Tanto più contro un paese che, solo due anni fa, ha osato, con la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua, mettere in discussione il pensiero unico del mercato e l’ideologia del “privato è bello”, affermando a maggioranza assoluta la volontà di riappropriazione sociale dell’acqua, dei beni comuni e della democrazia.
A quel paese va detto ora e a chiare lettere che, se anche fosse vero che privato non è bello, privato è in ogni caso obbligatorio e ineluttabile. E’ in questo quadro che avanza a livello istituzionale il tentativo di mettere mano alla Costituzione, permettendone, come recentemente affermato dalla banca d’affari Jp Morgan, la sua modernizzazione, attraverso la progressiva espunzione di tutti i richiami alla cultura antifascista, socialista ed egualitaria, di cui sarebbe ancora intrisa. D’altronde, come conciliare le politiche di feroce austerità, di spoliazione dei diritti, di privatizzazione dei beni comuni con il mantenimento di una Costituzione che quei diritti afferma, per quanto nel tempo ripetutamente violati? Serve una democrazia austeritaria , di autolegittimazione del potere, non potendo quest’ultimo contare sul consenso.
Per tutte queste ragioni, l a manifestazione nazionale di oggi a Roma, assieme alla giornata di mobilitazione territoriale promossa dai movimenti per i beni comuni, assume i contorni fondamentali della costruzione di un luogo pubblico e plurale di riconoscimento reciproco per tutte quelle esperienze che quotidianamente, in tutti i territori e a livello nazionale continuano a praticare il conflitto e ad affermare la riappropriazione sociale dei beni comuni, della ricchezza collettiva prodotta, dei diritti inalienabili e della democrazia.
E’ bene che oggi tutte queste realtà si incontrino e, nel pieno rispetto dell’autonomia delle proprie esperienze, concorrano a determinare la volontà di un percorso nuovo, aperto e inclusivo che veda nella conquista di una democrazia piena, reale e partecipativa l’orizzonte condiviso. Perché questo succeda, occorre che la piazza di oggi abbia l’esplicita intenzione di voler parlare alla società più che al Palazzo, come ha dimostrato la mobilitazione dal basso costruita in occasione della vittoria referendaria sull’acqua; occorre che non separi i diritti giuridici dai diritti sociali, dialogando con tutte le mobilitazioni in corso nelle prossime settimane e non cadendo nel tranello mass mediatico dei buoni e dei cattivi, bensì pretendendo il reciproco superamento dell’autoreferenzialità e l’apertura di canali in cui possa scorrere il fiume del cambiamento sociale; occorre infine che abbia memoria del passato, ma solo per poter meglio affermare il diritto di tutte e di tutti ad avere un futuro e che, per questo, metta in campo un progetto di mobilitazione permanente. In un’Italia ricca di conflitti sociali, territoriali, del lavoro e tutt’altro che pacificata, occorre che ogni movimento in campo compia un salto di qualità, inverando la propria esperienza di lotta di ulteriori obiettivi che, nel renderla più forte ed efficace, consentano un intreccio reale con tutte le mobilitazioni in campo.
Sono due i terreni di possibile lavoro comune: la rottura dei vincoli monetaristi e la riappropriazione di una finanza pubblica e sociale da una parte, e la conquista di una democrazia reale, piena e partecipativa dall’altra. E se con il lancio del Forum pe r una nuova finanza pubblica e sociale il primo terreno ha trovato una sua prima seminagione, la piazza di oggi può essere la prima tappa per arare il secondo, a partire dalla piena applicazione della Costituzione per costruire una mobilitazione reticolare di riappropriazione ed estensione della democrazia.
*Attac Italia
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