Decadenza, il voto a fine novembre per evitare trappole sulla manovra
ROMA — Ormai il braccio di ferro è sui tempi. Voto palese o segreto che sia, il Pdl è convinto di non farcela. Quindi, sulla decadenza di Berlusconi dal Senato, vuole giocare fino in fondo una partita dura: o far saltare il voto, con la pretesa di anticipare quello sull’interdizione dei giudici; o comunque imporre — pena la minaccia di dare forfait sulla legge di stabilità — che il Cavaliere resti al suo posto il più a lungo possibile. Berlusconi continua a ripete: «Se mi fanno decadere, salta la manovra ». E i suoi avvocati decideranno se ricorrere in Cassazione contro i due anni di interdizione stabiliti dalla Corte di appello solo «dopo» aver letto le motivazioni, che dovrebbero esser pronte tra 15 giorni. Se il Cavaliere non ricorre alla Suprema corte l’interdizione è definitiva, e il Pdl pretenderà che prenda il sopravvento sulla legge Severino. In questa direzione insiste soprattutto il gruppo di Alfano che vuole salvare il governo. Ovviamente, poiché l’interdizione deve fare la stessa trafila della Severino — prima la giunta per le Immunità, poi l’aula — andremmo sicuramente all’anno nuovo, guadagnando mesi per la campagna elettorale in vista delle Europee e sfruttando pure i tempi lunghi per la procedura di affidamento al servizio sociale.
All’opposto, anche il Pd ha un problema di tempi, che vanno in rotta di collisione con quelli lunghi del Pdl. I Democratici li vorrebbero ristretti al massimo. I senatori continuano a ricevere mail, lettere, sms in cui li si sollecita a chiudere una volta per tutte questa partita con Berlusconi. Il leit motiv è «mandatelo a casa». Per certo il Pd non si può permettere un voto che vada oltre l’8 dicembre, la data del suo congresso. Ma quella più “comoda” per il Pd — e cioè entro la metà di novembre, prima che la legge di stabilità vada in aula — rischia davvero di mettere in crisi il governo Letta e di lasciare il Paese senza la manovra economica. La ragione è semplice: solo al Senato il Pdl è determinante per garantire la maggioranza, mentre alla Camera il Pd ha i numeri sufficienti per fare da solo, quindi lo scoglio del voto al Senato va superato a tutti i costi, anche garantendo al Pdl i tempi lunghi che chiede. Il compromesso che si palesa è quello di fissare la seduta sulla decadenza di Berlusconi a fine novembre, dopo il voto sulla manovra. Ma, come abbiamo visto, il trucchetto del Pdl potrebbe essere quello di incassare il rinvio e poi si rovesciare il tavolo sull’interdizione. Tutto pur di bloccare la Severino, un «pericoloso precedente» secondo Raffaele Fitto. Soprattutto per lui visto che a Bari ha una condanna in primo grado per corruzione e finanziamento illecito e alla fine del processo potrebbe ritrovrarsi, se condannato, come Silvio. .
Se il dipanarsi dei tempi è questo, si amplia pure il margine per affrontare la questione sul tipo di voto, se segreto oppure palese. Questione che sta assai a cuore ai Dem, tant’è che il capogruppo Luigi Zanda, quando una settimana fa si è riunita la giunta per il Regolamento di cui fa parte, uscendo dall’incontro ha detto ai giornalisti: «Il voto palese garantisce in modo migliore la trasparenza delle decisioni». Non è un mistero che anche il presidente del Senato Pietro Grasso, al vertice della giunta per il Regolamento che dovrà dirimere la querelle, sembra propendere per il voto palese. Diceva ieri a New York, dov’è il visita ufficiale: «Se il voto sarà segreto bisognerà vedere se sarà davvero un voto di coscienza o se dipenderà piuttosto da interessi diversi. Se invece sarà palese, tutto sarà più chiaro». La giunta si riunisce martedì 29. I due relatori Francesco Russo (Pd) e Anna Maria Bernini (Pdl) stanno lavorando alle rispettive tesi. Voto palese il primo, segreto la seconda. Si raccolgono i precedenti. Si fa il confronto con la Camera dove sui casi di decadenza da interdizione il voto è palese. Si raccolgono pareri di giuristi, come Alessandro Pace e Stefano Ceccanti. I voti sono ballerini: sul fronte voto segreto per certo 3 Pdl, 1 Lega, 1 Gal; incerti Zeller (Svp) e Lanzillotta (montiana). Dall’altra 3 Pd, 1 Sel, 2M5S.
Chiarezza, trasparenza, no alle fumisterie. L’esigenza è questa. Su questa linea il Quirinale se la prende col Fatto per via di un ipotetico «patto tradito» tra il Colle e Berlusconi. «Il Colle le definisce «ridicole panzane» e rinvia tutto alla nota ufficiale del 13 agosto nella quale, sulla clemenza, Napolitano «si è espresso con la massima chiarezza e precisione».
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