Dall’amicizia al risentimento Fitto e quello strappo con Angelino

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Nelle ore drammatiche dello strappo, tra Palazzo Grazioli e via dell’Umiltà, i due ex ragazzi prodigio del centrodestra hanno incrociato più volte le lame, tanto che la rottura tra i due ha fatto notizia. Perché il già governatore della Puglia non ha seguito il vicepremier nella sua nuova avventura da leader in pectore dei moderati? Sembra una domanda semplice, destinata a trovare semplici risposte. E invece no, la fine del sodalizio è un mezzo mistero, sul quale i diretti interessati mantengono entrambi un rigoroso e plumbeo riserbo: «È una vicenda delicata»… Tace Alfano e tace Fitto, che da più di tre mesi declina caparbiamente ogni richiesta di intervista: «Non parlo ancora, no… Tra la tragedia di Lampedusa e i fatti della Giunta c’è troppa carne a cuocere. E poi sono dentro una riflessione, in questo momento non mi faccia dire niente».
Parlano invece, previa richiesta di anonimato, gli amici (e i nemici) dei due paladini, che un tempo erano un po’ come il cristianissimo conte Orlando e suo cugino Rinaldo, paladino altrettanto valoroso. «Fitto ha il quid, Alfano invece ha il quid pro quo» gioca velenoso con le parole un deputato vicino a Fitto. E un alfaniano di stretta osservanza accusa: «Raffaele mastica friselle e potere da quando era bambino… Se ha scelto i falchi, è perché spera di diventarne il leader». A dividerli non è stato l’amore di una bella «Angelica», come nel poema dell’Ariosto, bensì il governo di Enrico Letta. Gli aedi berlusconiani puntano a dito il ministro Gaetano Quagliariello e spiegano che dove sta lui, Fitto non ci può stare. Tutta colpa della Puglia, terra che Raffaele e Gaetano si contendono da tempo palmo a palmo. «È una stupidaggine pura — smentisce le voci Quagliariello — Fitto dovrebbe fare un monumento ad Alfano che mi chiese la cortesia di candidarmi in Abruzzo. E dire che mio padre era il rettore di Bari». Tra i guerrieri del Cavaliere si racconta di uno scontro tra Denis Verdini e il responsabile delle Riforme. Il quale, per aver provato a ridimensionare Fitto rammentando a Berlusconi i suoi guai giudiziari, fu letteralmente aggredito dal coordinatore. Ad Alfano, sempre stando alle ricostruzioni non autorizzate, Fitto rimprovera di essere stato sedotto e abbandonato: portato cioè avanti quando Angelino puntava alla segreteria e abbandonato quando c’era da contendere a Brunetta il ruolo da capogruppo alla Camera. Chissà se è vero. Quel che è certo è che a Fitto sta stretta la seconda fila in cui si è visto relegato, mentre l’amico di un tempo guadagnava posizioni fino a diventare segretario, vicepremier, ministro dell’Interno… Marco Follini, che conosce come pochi altri «i cavalier, l’arme e gli amori» della Democrazia cristiana, prevede che il duello sia solo all’inizio: «Se lo scontro sarà tra di loro, assisteremo a una battaglia gentile».
Monica Guerzoni


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