by Sergio Segio | 31 Ottobre 2013 9:27
TARANTO — Una telefonata del governatore al pr della famiglia, Girolamo Archinà: «State tranquilli, non è che mi sono scordato. Volevo dirglielo perché poteva chiamare Riva e dirgli che il presidente non si è defilato (…) Però lei lo sa, io ho fatto veramente le battaglie e in difesa della vita e della salute». E una mail scritta da Archinà ai suoi superiori nella quale riassumeva l’esito di un incontro avuto alla Regione: «Vendola è imbestialito. Il suo giudizio è che “così com’è, l’Arpa può andare a casa perché hanno rotto…” ». Sono queste le due conversazioni alla base delle accuse che la procura di Taranto muove al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, indagato per concussione aggravata nell’inchiesta sul disastro ambientale causato dallo stabilimento Ilva di Taranto.
Ieri la Guardia di Finanza ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini a 53 persone. La novità è l’iscrizione del governatore: «Con una implicita minaccia per una mancata riconferma nell’incarico ricoperto — si legge nel documento — costringeva Giorgio Assennato, direttore di Arpa Puglia con incarico in scadenza nel febbraio 2011 e in attesa di eventuale riconferma… ad “ammorbidire”
la posizione di Arpa nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva spa» in modo da permetterle «di proseguire l’attività produttiva ai massimi livelli come sino ad allora avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni e rimodulazioni ».
«Mai ricevuto alcuna pressione» dice Assennato. Che per averlo ripetuto anche ai giudici è ora indagato per favoreggiamento, insieme con l’attuale deputato di Sel Nicola Fratoianni, l’attuale assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro (Idv) e il consigliere regionale Donato Pentassuglia (Pd). Tutti, dice la procura, avrebbero mentito per “salvare” Vendola.
Tra gli indagati — oltre chiaramente a tutta la famiglia Riva accusata di associazione a delinquere finalizzata al disasastro ambientale e il suo management, compreso il prefetto Bruno Ferrante — c’è anche il sindaco Ippazio Stefano, a cui viene contestato di non aver compiuto gli interventi necessari per bloccare la produzione e dunque l’inquinamento; ci sono alcuni componenti della commissione ministeriale Aia che concesse nel 2010 l’autorizzazione all’Ilva per proseguire l’attività ma anche un sacerdote e un carabiniere, tutti accusati di aver in qualche modo favorito la famiglia Riva.
Le associazioni ambientaliste hanno già annunciato la costituzione di parti civile. Mentre le 258 parti lese individuate dalla Procura sono pronte a un’azione civile per ottenere il risarcimento danni. «È un atto di accusa per un’intera classe politica» dice il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli.
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