Caccia alle chiavette di Putin: 300 delegati nella trappola dei russi

by Sergio Segio | 30 Ottobre 2013 7:32

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BRUXELLES — Un orsacchiotto di peluche, tazze, agende e un k-way con il logo dei Giochi olimpici invernali che si svolgeranno a Sochi nel 2014: c’era anche questo tra i gadget consegnati al termine del G20 che si è svolto a San Pietroburgo il 5 e 6 settembre scorsi. Ma il pezzo forte erano le chiavette Usb e i cavi di alimentazione per smartphone da inserire nei computer regalati a tutti i componenti delle delegazioni internazionali. Soltanto gli italiani erano una ventina. Fatti i conti, si parla di almeno 300 dispositivi messi in circolazione. E adesso si sta cercando di verificare se e come siano stati utilizzati, con la consapevolezza che almeno alcuni sono stati certamente inseriti nei pc. Quanto alimenta i timori degli apparati di intelligence. Ma anche l’ira del presidente del Consiglio Enrico Letta che fino a ieri mattina sarebbe stato tenuto all’oscuro della vicenda. Non a caso la convocazione per domattina del comitato interministeriale viene ritenuta un momento di confronto con i capi dei servizi, ma soprattutto di chiarimento rispetto all’atteggiamento tenuto rispetto al Datagate e a questa guerra di spie che può avere esiti imprevedibili.
L’allerta una settimana fa
La comunicazione riservata dell’ufficio sicurezza del Consiglio europeo ai nostri 007 arriva lo scorso giovedì, è il 24 ottobre. L’allerta è dettagliata, fornisce dati precisi su quanto è stato già fatto. Si scopre così che al ritorno dalla riunione in Russia, il presidente Herman Van Rompuy e gli altri componenti della delegazione dell’Unione Europea, sono stati sottoposti al cosiddetto «debriefing» come solitamente accade in occasione di vertici internazionali di particolare rilevanza. Una procedura che evidentemente da noi non viene seguita, visto che nessuno aveva segnalato la «stranezza» del gadget ricevuto.
L’iter standard predisposto per i rappresentanti dell’Unione prevede invece una ricostruzione degli incontri ufficiali o casuali avuti durante le riunioni, eventuali fatti anomali accaduti nel corso della missione, analisi di telefonini e computer utilizzati. Ed è a questo punto, quando i delegati raccontano di aver ricevuto in regalo chiavetta e cavo, che scatta l’allarme. Gli apparati di sicurezza evidenziano la necessità di effettuare controlli, paventando il rischio di intrusioni nei sistemi operativi.
I contatti con Berlino
Un primo esame accerta che si tratta di apparecchiature da 8 Giga «Made in China». Un’analisi più approfondita consente di verificare una «alterazione dei circuiti elettrici e dunque una evidente manomissione». Scattano le ulteriori verifiche. Il presidente Van Rompuy decide di coinvolgere i servizi segreti di Berlino. Tutti i dispositivi della delegazione vengono affidati agli 007 tedeschi. E l’esito è positivo: «Si tratta di strumenti idonei alla captazione clandestina dei dati di computer e telefoni cellulari». Quanto basta per informare i servizi segreti di tutti gli Stati partecipanti. Ma sulle modalità ci sono ancora numerosi interrogativi aperti.
Come mai sono trascorsi quasi due mesi prima che terminassero le verifiche? L’Italia è stata avvisata soltanto una settimana fa. E gli altri? Oltre ai tedeschi, altri Paesi hanno effettuato analisi autonome?
Dopo aver ricevuto l’allerta, i funzionari dell’Aise hanno acquisito l’elenco dei componenti della delegazione italiane e hanno recuperato chiavette e cavi. Verificando che in alcuni casi erano stati utilizzati. Il sospetto è che siano serviti a copiare il disco rigido del computer e ad acquisire i dati contenuti negli smartphone. Una prima verifica avrebbe confermato la manomissione dei circuiti e adesso si attende l’esito dei nuovi test.
Cavalli di Troia e pedinamenti
È possibile che non tutti i dispositivi siano «cavalli di Troia» come in gergo vengono definiti i congegni di intrusione, ma negli uffici dell’Unione Europea si dà per scontato che almeno una parte dei cavi abbia captato i dati. Anche perché viene fatto notare come negli ultimi tempi l’atteggiamento degli apparati di intelligence di Mosca nei confronti dei rappresentanti europei sia diventato più aggressivo con «pedinamenti fin troppo palesi che avvengono sul loro territorio». Modalità che qui vengono ritenute sintomo di una guerra di spie acuita anche dalla scelta del Cremlino di concedere un visto politico di un anno alla «talpa» del Datagate Edward Snowden.
In questo scenario dagli esiti imprevedibili l’Italia sembra aver scelto un ruolo di mediazione, confermato nei giorni scorsi anche dal sottosegretario delegato Marco Minniti di fronte al Copasir. Non a caso, dopo aver riconosciuto che ci troviamo in un «momento storico che non ha precedenti», lo stesso Minniti ha sottolineato l’esistenza «di un problema che riguarda l’intelligence del Paese più potente del mondo e un problema tra questa intelligence e quella europea».
Fiorenza Sarzanini

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