“Borsellino non fu ucciso per la trattativa”
PALERMO — Comportamenti «opachi», scelte operative «discutibili », ma nessuna trattativa di uomini dello Stato con i vertici della mafia. Il tribunale che a luglio ha assolto il generale Mario Mori ha ancora qualche dubbio sul mancato blitz del Ros che il 31 ottobre 1995 avrebbe potuto portare alla cattura di Bernardo Provenzano, al punto di scrivere nella sentenza che «la condotta attendista» è «sufficiente a configurare in termini oggettivi il reato di favoreggiamento » nei confronti del capomafia. Ma non «è adeguatamente provato — aggiunge il presidente Mario Fontana nella motivazione della sentenza — che le scelte operative dei carabinieri, giuste o errate, siano state dettate dalla deliberata volontà di salvaguardare la latitanza di Provenzano».
Secondo i giudici della Quarta sezione, la trattativa non l’avrebbe fatta neanche l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino, e neppure l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso. I giudici demoliscono pure un altro caposaldo delle indagini delle Procure di Palermo e Caltanissetta: «Resta senza riscontro — scrivono — l’eventualità che Paolo Borsellino abbia in qualche modo manifestato la sua opposizione ad una trattativa in corso fra esponenti delle istituzioni e associati a Cosa nostra». Il tribunale boccia l’ipotesi che l’eccidio di via d’Amelio sia stato «accelerato » da Riina.
In 1.322 pagine, i giudici che hanno assolto il generale Mori dall’accusa di favoreggiamento mettono un’ipoteca sul processo appena iniziato per la trattativa Stato-mafia, che vede imputati non solo l’ex comandante del Ros, ma anche Nicola Mancino. Il supertestimone dei pm, Massimo Ciancimino, viene bollato come «soggetto incline alle chiacchiere e alle vanterie» e di «attendibilità precaria». Secondo il tribunale, «dichiarazioni incerte» sono anche quelle dell’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, che ha accusato Mancino di non essersi attivato per fermare il dialogo fra i carabinieri e l’ex sindaco Vito Ciancimino. «Ha una sorta di inclinazione a rappresentarsi come un puro paladino dell’antimafia», scrivono i giudici di Martelli. E concludono: «Men che meno il tribunale potrebbe, sulla scorta delle incerte indicazioni di Martelli, disporre la trasmissione degli atti al pm per il delitto di falsa testimonianza a carico di Mancino». È un risultato importante per l’ex ministro degli Interni, che proprio nel processo per la trattativa è accusato
di falsa testimonianza. Incassa un punto anche un altro imputato eccellente del processo trattativa: «Non vi è prova dell’infedeltà del generale dei carabinieri Antonio Subranni», dice la sentenza. È l’ufficiale di cui Paolo Borsellino parlò alla moglie, poco prima di morire: «È punciutu ». Ma ai giudici non sono bastate le parole di Agnese Borsellino.
Nella sentenza Mori viene messo in discussione tutto l’impianto accusatorio sulla trattativa, bollato come «contraddittorio e confuso ». I giudici non vedono ombre neanche nella clamorosa retromarcia che nel novembre 1993 portò alla revoca del carcere duro per 400 mafiosi. Per il tribunale, fu solo «un parziale cedimento» per evitare altre stragi e non «il risultato di un accordo». Dunque, nessuna ombra su Conso o sull’allora presidente della Repubblica Scalfaro. Eppure, alla fine, anche i giudici più critici con i pm di Palermo finiscono per ammettere che i misteri restano ancora tanti. Scrivono: «E’ immaginabile, ma non è sufficientemente provata l’esistenza di un disegno di personaggi di spicco della Democrazia cristiana, avallato o meno dal generale Subranni, volto ad aprire un dialogo con i vertici di Cosa nostra al fine di evitare ulteriori, cruente manifestazioni di violenza dirette contro propri esponenti».
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