Bank of America, in arrivo multa da 6 miliardi

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NEW YORK — La multa segna un record storico: 13 miliardi di dollari, la sanzione più costosa che si ricordi non solo negli annali di Wall Street, ma in quelli del capitalismo americano. Non è solo questo che fa scalpore, nella vicenda della JP Morgan Chase. Il giorno dopo l’annuncio dell’accordo — ancora provvisorio — raggiunto tra la più grande banca americana e il Dipartimento di Giustizia, ieri la piazza finanziaria stava cercando di misurarne tutti i significati e le conseguenze. La sensazione infatti è che l’offensiva giudiziaria dell’Amministrazione Obama contro JP Morgan segni un vero spartiacque. Nei quattro anni del primo mandato di Barack Obama, si era notata l’assenza di procedimenti penali contro i banchieri,
colpevoli della crisi dei mutui subprime. Sanzioni ce n’erano state, di tipo economico, ma nulla che sembrasse un “game-changer”, un atto capace di imprimere una svolta alle regole del gioco, al modo di comportarsi dei banchieri. Nel frattempo, è vero, Obama aveva portato a casa l’imponente
riforma Dodd-Frank, che però guardava in avanti fissando nuove regole sui mercati, non poteva saldare i conti sui danni del passato. Ora si volta pagina, a quanto sembra. E non a caso il pugno duro di Obama coinvolge in prima persona il banchiere più potente, politicamente più accorto,
più rispettato da tutti: Jamie Dimon.

Proprio lui sarà il primo a dover rispondere in toto delle frodi perpetrate all’epoca dei mutui subprime: di questo infatti si tratta, il procedimento in questione imputa alla JP Morgan di avere letteralmente raggirato i propri clienti, e perfino i propri azionisti,
all’epoca in cui confezionava finanza tossica contenente i crediti relativi ai mutui subprime, e piazzava quei prodotti a clienti ignari del vero rischio che correvano. L’entità della sanzione è già di per sè un evento, tanto più se si tiene conto dei punti di partenza. Mesi fa, Dimon prese l’inedita decisione
di coinvolgersi di persona nella vicenda giudiziaria, scendendo in campo per negoziare direttamente col segretario alla Giustizia, Eric Holder. Ebbene, la prima offerta di Dimon per patteggiare fu di un miliardo di dollari.

Ora ha dovuto accettare di pagarne 13 volte tanto. Per quanto JP Morgan abbia le spalle larghe, e abbia già accantonato ampie riserve di bilancio per spese legali, la multa farà andare in rosso il suo bilancio trimestrale: una cosa mai accaduta durante la crisi del 2008-2009. E non solo. Benchè questa fosse la richiesta più cruciale del banchiere nel corso del negoziato, Dimon non l’ha spuntata sulla de-penalizzazione. Il patteggiamento civile e il pagamento della maxi-multa, in questo caso, non comporta la cessazione dei procedimenti penali, in particolare quello promosso dallo Stato della California. Questo ha conseguenze potenzialmente rilevanti. Non solo perchè evitando di chiudere la partita penale il governo mantiene una spada di Damocle sulla testa di Dimon, che potrebbe essere a sua volta condannato. Inoltre, il Dipartimento di Giustizia strappa alla banca un’ammissione di colpa che, unita alla non-estinzione della causa penale, può essere gravida di conseguenze aprendo la stura alle class action di azionisti, clienti, investitori. E’ chiaro inoltre che il ministro Holder ha voluto partire dalla “regina” di Wall Street, per farne un caso-pilota che diventerà il modello per azioni analoghe.

Già Bank of America si sente “la seconda della lista” con una sanzione di 6 miliardi in arrivo. Colpire Dimon per primo, ha anche un significato politico. Dimon fu l’unico a uscire con una reputazione indenne dal disastro del 2008, e ne approfittò per diventare capo-lobbista quando le banche organizzarono la loro offensiva politica contro la riforma Dodd-Frank. Ma già due anni fa incappò nel brutto incidente della “balena di Londra”, che scavò 6 miliardi di perdite nel suo bilancio per operazioni di dubbia liceità sui derivati.


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