Attentato a Narendra Modi candidato premier del Bjp

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Domenica scorsa a Patna, capitale dello stato del Bihar, l’atteso comizio del candidato alla carica di primo ministro espresso dal Bharatiya Janata Party (Bjp) – nazionalista hindu – Narendra Modi è diventato teatro dell’ultimo attacco terroristico di matrice islamica in India. Prima che l’attuale chief minister del Gujarat salisse sul palco, in mezzo alla folla sono esplosi sette ordigni artigianali, uccidendo sei persone e ferendone a decine. Il bilancio poteva essere molto più ingente se, come spesso capita in India durante raduni oceanici di questo tipo, si fosse diffuso il panico tra i sostenitori di NaMo; pericolo saggiamente disinnescato dagli organizzatori che, dagli altoparlanti, hanno rassicurato tutti circa l’esplosione di «qualche petardo».
Le autorità sono risalite ai principali sospettati, quattro uomini di fede musulmana affiliati agli Indian Mujahideen (Im), organizzazione bollata come cellula terroristica dal 2010. Gli Im non sono nuovi ad attacchi bombaroli in Bihar. A luglio, un’analoga serie di esplosioni aveva colpito Bodh Gaya, dove seduto sotto un albero in meditazione – secondo il culto buddhista – il Buddha Gautama avrebbe raggiunto l’Illuminazione. Il gesto dimostrativo, che causò solo qualche ferito lieve tra i monaci, venne rivendicato come azione in solidarietà del popolo Rohingya, minoranza etnica musulmana brutalmente repressa dai buddhisti birmani. Ora che anche i comizi del Bjp sono entrati nel mirino degli Im, vengono a galla ancor più prepotentemente gli aspetti controversi di Narendra Modi, principale ostacolo alla sua corsa al governo di New Delhi.
Modi, come molti quadri del Bjp cresciuto nelle file dell’organizzazione paramilitare hindu Rashtriya Swayamsevak Sangh, nel 2002 – secondo i suoi numerosi detrattori – decise di non intervenire durante i sanguinosi pogrom del Gujarat, scontri interreligiosi che in una manciata di giorni fecero più di mille morti, di cui più di 700 musulmani. La sua responsabilità non è stata finora provata in sede legale, ma le posizioni ultranazionaliste di Narendra Modi e dei suoi più stretti «grandi elettori», a capo della costellazione estremista hindu unita sotto la Sangh (“l’associazione”), non solo non sono un segreto, ma impediscono a molti potenziali alleati di appoggiare il candidato favorito dell’opposizione.
Il primo alleato a scaricare Modi è stato proprio il chief minister del Bihar, Nitish Kumar, a capo del partito Janata Dal United (Jdu). Un affronto che Modi dal palco ha attaccato con veemenza, incoraggiando i suoi elettori a «estirpare e punire i traditori». La polemica nata in seguito all’attentato degli Im, coi leader del Bjp ad accusare il governo del Bihar di un’interessata inadempienza nell’applicazione dei sistemi di sicurezza, ha esacerbato ancora di più i rapporti tra i due ex alleati, portando ad una conferenza stampa al vetriolo indetta nella giornata di martedì da Nitish Kumar in persona. Kumar, davanti ai giornalisti, ha parlato di «metodi fascisti», invocando addirittura Hitler e Goebbels come modelli di riferimento di Modi.
Il livello dello scontro verbale si inserisce nel grande gioco delle alleanze nazionali che negli anni ha provato una sola verità: in India senza i voti delle minoranze non si vince. Parliamo di gruppi etnici, castali e religiosi rappresentati da partiti locali ad hoc come il Jdu, che può contare sull’appoggio di musulmani ed esponenti delle caste più basse.
Il peso di questi partiti, minoritari a livello nazionale ma molto influenti a livello locale, anima la complessa alchimia delle alleanze pre-elettorali, con le due grandi formazioni politiche panindiane del Bjp e del Congress costrette ad elargire promesse e posizioni nel gabinetto di governo per aggiudicarsi la fedeltà, e i seggi, di questa o quella formazione politica.
Al di là dei programmi di governo, incentrati su obiettivi di crescita e sicurezza nazionali contro il terrorismo interno ed esterno, nel 2014 sarà il pallottoliere delle alleanze a decidere chi siederà al centro del prossimo governo indiano. E il passato ingombrante di Narendra Modi, per il Bjp, è certamente l’ostacolo più grande sulla strada per Delhi.


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