A Roma un centro di spionaggio Nsa

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In un’Europa dai nervi scoperti, il “datagate” si avvita in un abisso dove ogni nuovo dettaglio moltiplica le domande e gonfia insieme il sospetto e la furia che la reticenza americana sulle attività di spionaggio elettronico della National Security Agency continui a proteggere segreti inconfessabili. Gli ultimi leaks arrivano dalla Germania dove, come ieri riferiva lo on line, è ormai certo che, dal 2002, per 11 anni, sin da prima che diventasse cancelliera, le conversazioni e dunque la vita di Angela Merkel siano state frugate e monitorate dalla Nsa. E con loro, le comunicazioni di ministeri, sedi dei partiti, come di altre agenzie governative di tutto il il centralissimo quartiere del governo a Berlino. Aveva un nome in codice il “bersaglio”: “E l’unità speciale che la sorvegliava era il reparto S2C32 della Nsa, accreditato con false identità diplomatiche nell’ambasciata americana a Berlino. Per un lavoro sporco e clandestino cui avrebbero collaborato anche i francesi. Sì, proprio loro, i primi a battere il pugno sul tavolo dopo le rivelazioni di Si comprende dunque così, perché la terza circostanza — riferita ancora da — pure in sé “neutra” acquisiti altra luce in questa tempesta. Nel 2010 gli Stati Uniti disponevano di circa 80 centri di spionaggio nel mondo, comuni a Cia e Nsa: 19 di questi in Europa, di cui 2 in Germania (Berlino e Francoforte), e uno in tutte le grandi capitali. Parigi, Madrid, Praga, Ginevra e, naturalmente, Roma. Non esattamente un “segreto”. E tuttavia, in queste ore, altra benzina sul rogo. Anche in casa nostra.
Se è vero infatti che fonti qualificate della nostra sicurezza nazionale e di Palazzo Chigi, incassano il dato riferito da sulla presenza di uomini della Nsa a Roma come «un’ovvietà», è altrettanto vero che quelle stesse fonti non nascondono il nervosismo e l’apprensione di chi ormai, dopo la vicenda Merkel, anche di fronte a un dato neutro, è costretto a un secondo pensiero. A una clausola di salvaguardia. Chi può infatti assicurare che gli uomini Nsa in Italia (la cui presenza è per altro nota da sempre ai nostri apparati di sicurezza e a Palazzo Chigi) non abbiano lavorato clandestinamente come i colleghi dell’ambasciata tedesca? Chi può assicurare che, esattamente come avvenne con il centro Cia di Roma e Milano nel caso Abu Omar (2003), agenti del servizio Usa “regolarmente” accreditati nel nostro Paese e persino conosciuti con le loro reali identità dai nostri Servizi, non abbiano lavorato sporco all’insaputa o, peggio, con la consapevole partecipazione o “distrazione” di pezzi della nostra intelligence? «E’ una domanda del diavolo — risponde
una fonte di governo — rispetto alla quale non esiste una risposta positiva, ma solo negativa. Dunque, allo stato delle cose, non possiamo che rispondere come abbiamo fatto sin qui. Non abbiamo evidenze che a Roma sia successa la stessa cosa accaduta a Berlino. Abbiamo
invece la certezza che i nostri Servizi non abbiano partecipato ad alcuna attività di spionaggio elettronico della Nsa all’interno dei nostri confini. Abbiamo infine la parola americana che, in Italia, non sono state condotte operazioni ostili verso uomini del governo o delle istituzioni».
Già, “la parola americana”. Quella di Kerry a Letta. E di Biden a Grasso. Quanto possono ormai valere nel giorno in cui Obama ammette
o comunque dice di «non sapere che la Merkel fosse spiata?».


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