A Milano il “mercato” dei nostri dati accessibili anche i contenuti delle telefonate

by Sergio Segio | 31 Ottobre 2013 10:04

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ROMA — C’è un non detto nel “datagate” italiano, che tra gli addetti ai lavori è il segreto di Pulcinella. E Giuliano Tavaroli, ex responsabile della sicurezza Telecom e del Gruppo Pirelli, lo illumina con brutale franchezza. Non fosse altro perché sa di cosa parla. «Cosa vuol dire che le conversazioni degli italiani non sono state ascoltate? O che le comunicazioni generate nel nostro Paese sono state risparmiate dalla pesca a strascico di americani e inglesi? Forse non è chiaro che, oggi, ogni comunicazione che passa attraverso le reti telefoniche è digitalizzata. Anche le conversazioni in voce. Non c’è qualcuno che ti ascolta. Semplicemente, tutto quel che dici, esattamente come ogni operazione in rete, diventa un pacchetto di byte che viene registrato e poi, se ritenuto utile, analizzato o ascoltato da software di riconoscimento vocale o semantico. Poi. Non prima. Tutti spazzolano i metadati. Tutti. Da almeno 10 anni. Sicuramente da quando ero in Telecom. E i metadati viaggiano in strutture che hanno dei punti fragili. Dove quei dati possono essere o “hackerati” o semplicemente “scambiati”. Quando il direttore della Nsa dice che i metadati sull’Europa sono forniti dai Servizi alleati dice semplicemente che quella merce viene dal mercato dei metadati difeso dal segreto di Stato, dagli accordi tra governi. Tecnicamente questo consente ai Paesi europei di escludere di aver spiato i propri cittadini per conto terzi. Ma, di fatto, mettere a disposizione della Nsa i propri metadati è come dare libero accesso in pasticceria a un diabetico. Salvo dire, “non aveva il permesso di mangiare dolci”».
Il mercato italiano dei metadati ha un indirizzo. Il “Mix” di via Caldera, a Milano. Insieme a Londra, Francoforte, New York, Hong Kong, Parigi, è uno dei sei nodi mondiali di “interconnessione” del traffico telefonico e internet dell’intero pianeta. Un “punto di interconnessione multipla”, dove il traffico dati italiano, come pure quello proveniente dall’estero (dal Mediterraneo, piuttosto che da Medio Oriente o Asia) attraverso cavi sottomarini e obbligato ad attraversare l’Italia, si connette con le reti degli operatori telefonici e gli internet provider su cui le reti elettroniche a strascico dell’americana Nsa e dell’inglese Gchq hanno o possono avere accesso. Qui, insomma, arrivano i cavi di “Telecom Sparkle” con il traffico generato nel nostro Paese destinato, appunto, a interconnettersi con i giganti della Rete. Tra i 132 operatori connessi al “Mix”, tanto per dire, ci sono infatti gli americani At&T, Amazon, Facebook, Google, Microsoft, Verizon.
Spiega una fonte qualificata che, per anni, ha lavorato in “Telecom Sparkle”, società nata nel 2003, controllata da Telecom e proprietaria in consorzio con operatori esteri di parte della rete fisica dei cavi in fibra ottica per il traffico dati: «Per quanto riguarda i metadati “italiani” la società non fa altro che portare il nostro traffico domestico nei punti di interconnessione e qui scaricarlo nei server dei provider esteri. Immagini un’immensa stanza con enormi armadi collegati tra loro, illuminati da led lampeggianti, che scambiano miliardi di byte al secondo». Ebbene, chi controlla cosa viene scambiato? «Nessuno. Telecom Sparkle, per quanto a mia conoscenza, – prosegue la fonte – fa contratti di servizio con gli operatori privati che si interconnettono. Non con governi. Diverso è il discorso di Telecom e cioè di chi consegna il traffico a “Sparkle”. Telecom può eventualmente stringere accordi con i suoi partner, provider o carrier esteri, sul tipo di metadati da mettere a disposizione ». Siano dunque conversazioni, mail, record bancari, banche dati.
Secondo quanto riferito nei giorni scorsi dal Sole 24 ore, tra il 1999 e il 2001, «stando a una fonte legata al mondo della telecomunicazione e dei Servizi, l’Intelligence Usa, con il via libera del Governo Italiano, avrebbe avuto accesso ai metadati generati dalla rete Telecom. Una circostanza di cui non esistono, allo stato, conferme documentali. Ma che, in qualche modo, oggi, sarebbe accreditata a valle da uno dei file di Snowden pubblicati dal quotidiano spagnolo El Mundo.
Un rapporto della National Security Agency sulla cooperazione con i Servizi Segreti esteri classifica infatti i Paesi con cui sarebbero attivi accordi di «cooperazione» e scambio di dati in diverse categorie. Nella prima, definita di “cooperazione estesa”, i 4 Paesi appartenenti ai “Five eyes”, (Australia, Canada, Nuova Zelanda e Gran Bretagna). Quindi, l’Italia e altri 18 paesi, tutti europei oltre a Giappone e Corea del sud, il secondo livello. Quello della «cooperazione concentrata».
Del resto, la Francia – primo Paese a battere il pugno sul tavolo del “datagate” – si scopre ora firmataria di un accordo con cui, tra il 2011 e il 2012, mise a disposizione i propri metadati alla Nsa. «Un baratto – lo ha definito con Le Monde un alto funzionario dell’intelligence francese -vNoi diamo agli americani traffico dati tra estero e Francia e loro ci danno traffico dati in zone del mondo in cui siamo assenti».

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