Il Rapporto «383» del governo cinese per le (sperate) riforme dell’economia
Il Terzo Plenum (significa che questa sarà la terza sessione dopo quelle di novembre 2012 e marzo 2013 che hanno «eletto» la nuova leadership) è carico di ricorsi storici: nel 1978 fu in un Terzo Plenum che Deng Xiaoping fece emergere le sue idee riformiste; e nel 1993 l’economia di mercato socialista uscì ancora da un Terzo Plenum.
Nell’era di Xi Jinping c’è enorme attesa per una nuova accelerazione di mercato. Aperture politiche si è già capito che non ci saranno: da mesi in Cina è in corso un’ulteriore repressione del dissenso e il nuovo leader non si stanca di rilanciare slogan maoisti, dalla «linea di massa» alla «rettifica». Qualcuno sostiene che il presidente Xi stia giocando la carta della nostalgia maoista in politica anche per vincere le resistenze degli antiriformisti sul terreno dell’economia: una sorta di scambio tra chiusure e aperture.
Ed ecco dunque il «Rapporto 383»: 3 sono le «vaste idee di rinnovamento»; 8 le «aree maggiori su cui intervenire»; 3 le «aree del cambiamento». Dentro questa formula, in concreto, la piena convertibilità dello yuan e un mercato meno sbilanciato a favore delle industrie statali.
Dicono che il documento del think tank governativo abbia molti punti di contatto con uno della Banca mondiale in cui si mette in guardia Pechino dal rischio di finire nella cosiddetta e famigerata «trappola del reddito medio», quella in cui sono caduti molti Paesi in Asia che dopo una grande crescita si sono impantanati sulla soglia del pieno sviluppo.
Le parole del partito suonano ambiziose: «Dobbiamo lasciare che il lavoro, la conoscenza, la tecnologia, il management e il capitale liberino il loro dinamismo». Ma per capire se questo Terzo Plenum manterrà le promesse bisognerà aspettare, forse molti mesi. Anche nel 1978 non fu semplice comprendere che Deng aveva aperto una nuova era.
Guido Santevecchi
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