by Sergio Segio | 31 Ottobre 2013 10:21
Le edizioni Grasset hanno appena pubblicato un’eccellente traduzione del romanzo di Ignazio Silone, Vino e pane . Si tratta di un’opera che si occupa dei problemi attuali. Ma la miscela di distacco e angoscia con cui vengono affrontati questi problemi permette di salutare, in Vino e pane , una grande opera rivoluzionaria. E per diversi motivi. Innanzitutto, questo romanzo è senza dubbio quello di un antifascista. Il messaggio che porta però va al di là dell’antifascismo. Perché questo rivoluzionario esiliato per anni, dopo essere evaso da un campo di concentramento, se torna in Italia e se scopre sempre dei motivi per odiare il fascismo, vi trova al contempo dei motivi per dubitare. Non certo della propria fede rivoluzionaria, ma del modo in cui si esprimeva. Uno dei passaggi culminanti di questo libro è senz’altro quando Pietro Sacca, il protagonista, a contatto con la vita semplice dei contadini italiani, si chiede se le teorie con cui ha travestito l’amore che provava per quel popolo non l’hanno allontanato da quello stesso popolo. È qui che possiamo valutare quest’opera come rivoluzionaria. Perché un’opera simile non è affatto quella che esalta le vittorie e le conquiste, ma quella che svela i conflitti più angoscianti della Rivoluzione. Più questi conflitti saranno dolorosi e più saranno attivi. Il militante convinto troppo in fretta sta al vero rivoluzionario come il bigotto sta al mistico. Perché la grandezza di una fede si misura con i suoi dubbi. E quello che investe Pietro Sacca nessun militante sincero, proveniente dal popolo e deciso a difenderne la dignità, può ignorarlo. L’angoscia che coglie il rivoluzionario italiano è la stessa che dà al libro di Silone la sua vivacità cupa e la sua amarezza. D’altra parte, non c’è opera rivoluzionaria senza qualità artistica. Questo può sembrare paradossale. Credo però che se l’epoca ci insegna qualcosa a questo riguardo, è che l’arte rivoluzionaria non può fare a meno della grandezza artistica, senza regredire alle forme più umiliate del pensiero. Non c’è via di mezzo tra la bassa propaganda e la creazione esaltante, tra quello che Malraux chiama «la volontà di provare» e un’opera come La Condizione umana . Vino e pane risponde a tale esigenza. Questo libro ribelle è radicato nella più classica delle forme. Una frase breve, una visione del mondo al contempo ingenua e riflessiva, dei dialoghi naturali e secchi, danno allo stile di Silone una vibrazione segreta che traspare finanche nella traduzione. Se la parola poesia ha un senso, è qui che lo ritrova, in questi quadri di un’Italia eterna e rustica, in questi pendii ricoperti di cipressi e in quel cielo senza pari, e nei gesti secolari di questi contadini italiani. Ritrovare la strada di quei gesti e di quella verità, e da una filosofia astratta della rivoluzione ritornare al pane e al vino della semplicità, è l’itinerario di Ignazio Silone e la lezione di questo romanzo. E una delle sue grandezze principali è di incitare anche noi a ritrovare, attraverso gli odi attuali, il volto di un popolo fiero e umano che rimane la nostra unica speranza di pace.
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Il testo qui pubblicato è una recensione di «Vino e Pane» di Silone. Inedita in Italia, uscì il 13 maggio 1939 su «Le Soir Républicain» ed è tratta dall’antologia «Il calendario della libertà», edita da Castelvecchi a cura di Alessandro Bresolin
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