by Sergio Segio | 31 Ottobre 2013 9:50
È passata sotto-silenzio l’udienza concessa lunedì scorso da papa Francesco al presidente della Banca mondiale, lo statunitense di origini sud-coreane Jim Yong Kim, imposto nel 2012 da Obama al vertice della più grande istituzione di sviluppo del pianeta per trasformarla e ridarle smalto. Però qualcosa è trapelato per bocca dello stesso Kim, che aveva preparato con dovizia l’incontro per dare alla banca un’aurea di santità, il tutto cavalcando il brand del papa del Sud del mondo che parla semplice e chiaro come il popolo. Kim cerca di imitare il presidente James Wolfensohn, architetto di una profonda riforma della World Bank a metà anni ’90, quando l’istituzione era sotto tiro dei critici no-global e di alcuni governi del Sud del mondo che iniziavano ad alzare la testa. Wolfensohn fu il primo a cercare sponde in Vaticano, creando un gruppo inter-religioso che accompagnasse il cammino della Banca. Anche per Kim una benedizione del papa aiuterebbe nella lotta alla povertà.
Proprio su questo tema il nuovo presidente ha concentrato il suo mandato, ponendosi l’obiettivo della fine della povertà entro il 2030. Frasi altisonanti che cercano di coprire il fallimento palese del raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che la comunità internazionale si era data nel 2000 con un orizzonte di 15 anni – allora si parlava più modestamente di dimezzare la povertà. Kim ha affermato che «se troviamo il modo di collaborare (con il Vaticano), unendo i nostri sforzi, possiamo dare vita a un movimento sociale che potrebbe accelerare il cammino» e si è spinto fino a invitare – pare in spagnolo – il papa a Washington per visitare la sede della World Bank al 1818 di H Street a Washington. Forse sentitosi un po’ strattonato per la sua candida giacchetta, il pontefice ci penserà. Di sicuro conosce bene quali sono stati gli impatti dei piani di aggiustamento strutturale imposti all’Argentina negli anni ’80 e ’90 dalla Banca e dal Fondo monetario internazionale, e resta da vedere cosa farà davvero il Kim di «movimento» che si è palesato in Vaticano. Sembra che lo stesso Kim abbia cercato di ingraziarsi le simpatie del papa argentino ricordando un episodio di vent’anni fa. «Allora partecipavo a manifestazioni contro la Banca mondiale chiedendone la chiusura». La Banca mondiale, sostiene Kim – presunto no-global in passato, poi dottore di fama internazionale nella lotta all’aids, infine divenuto banchiere globale – oggi è cambiata, ha capito la lezione, per questo punta sì alla crescita economica, ma che sia «inclusiva». È il nuovo mantra movimentista che in realtà cela una visione ben precisa, che non necessariamente aiuterà i poveri. Kim ha presentato in estate la nuova strategia della banca, poi approvata a ottobre dai governi agli incontri annuali di Washington. Centrale sarà lo sviluppo del settore privato, come principale motore della crescita e dello sviluppo. Motivo per cui, nel solco tracciato dal suo predecessore neo-con ed ex Goldman Sachs, Robert Zoellick, il gruppo della Banca mondiale presta sempre di più al settore privato tramite la sua International Finance Corporation (Ifc). Ben 18 miliardi di dollari ogni anno concessi a banche e multinazionali, in nome dello sviluppo dei poveri.
Papa Francesco alla fine avrà apprezzato che l’udienza sia rimasta privata, e si è limitato a sottolineare la necessità di includere i poveri nello sviluppo rispettoso della natura e delle comunità. Rferimento non casuale: in questi mesi s’infuoca l’ennesima disputa su un mega investimento targato Banca mondiale in India. L’impianto di 4000 megawatt a carbone di Tata Mundra sulle coste del Gujarat ha trovato l’opposizione delle comunità locali per i devastanti impatti ambientali e sociali. Le organizzazioni locali dei pescatori nel 2012 si erano rivolte al meccanismo di ispezione interno dell’Ifc, che dopo un anno ha accertato violazioni delle linee guida della stessa Banca. Ma il presidente Kim sembra aver dimenticato gli impatti sulla salute collegati ad interventi di questo tipo che ha studiato per anni, dando ragione al management della Banca e così delegittimando i risultati della sua struttura ispettiva. Stessa arroganza che il Presidente tiene da mesi verso le comunità locali in Kosovo, contrarie a un mega impianto a lignite. Un progetto di interesse strategico Usa, per cui i poveri e l’ambiente possono aspettare. La Banca mondiale rimane pur sempre la banca dei ricchi e non dei poveri, e non c’è benedizione papale che tenga.
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