Francia: Hollande al bivio tra utopia e realtà

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Ci troviamo nel momento cruciale del percorso di François Hollande. Il presidente francese si trova sotto il tiro incrociato del suo schieramento e della destra. Riuscirà a uscire da questa situazione?

Credo che Hollande debba dare una risposta concreta alla conversione del socialismo francese sulla strada della socialdemocrazia. In altre parole deve “demarxizzare” la sinistra. Purtroppo eredita un partito che – per colpa di tutti i leader socialisti, lui compreso – fa un’analisi completamente diversa della crisi, in cui si fa appello al ritorno alla lotta di classe. Il lavoro “contro” il capitale!

Il Partito socialista (Ps) non sembra andare verso il ventunesimo secolo, ma al contrario sembra rifugiarsi nel diciannovesimo. Per il Ps la questione centrale è quella delle disuguaglianze: bisogna tassare i ricchi. Hollande deve fare i conti con numerosi consiglieri e ministri che la pensano così, e ha un parlamento dove molti deputati sono sulla stessa lunghezza d’onda.

Da candidato ha capito che la crisi era probabilmente più complessa rispetto a questi ragionamenti. Ma ha promesso poco e ha detto che l’inizio del quinquennio sarebbe stato difficile e che i frutti potranno essere distribuiti solo in seguito. Si è mostrato prudente, qualcuno potrebbe dire esitante.

Il problema di Hollande è che non è un intellettuale. Questo è il suo difetto fondamentale: è privo di una visione d’insieme. In quanto realista e pragmatico ha capito molto presto che il sistema socialista era morto, ma non ha nulla da proporre al suo posto, se non il suo gusto per il compromesso. Uomo di piccoli progetti, Hollande manca di un grande progetto di sintesi fra socialismo e modernità.

È questa mancanza che spiega perché nonostante il suo programma prudente il presidente francese abbia preso due cattive direzioni. Circondato da un apparato socialista molto critico contro le disuguaglianze, le banche e le grandi società quotate in borsa, Hollande non si è reso conto che il problema principale della Francia era la sua scarsa competitività. Le imprese non guadagnano troppo denaro, non ne guadagnano abbastanza!

In seguito ha corretto il tiro, in particolare con il rapporto Gallois nell’estate 2013. Il Ps è rimasto interdetto, molti non si sono ancora rimessi da questa svolta e vedono in questa “politica dell’offerta” un “regalo” al mondo imprenditoriale. Un vocabolario da diciannovesimo secolo.

L’altro errore è di bilancio. All’inizio la logica del Ps è stata quella di aumentare le imposte, in particolare nei confronti dei ricchi, per ridurre il deficit. Tassare i ricchi e dare agli altri, questo avrebbe permesso di risanare il sistema. Inoltre sulla riduzione delle spese – l’altra possibilità di una politica di rigore – il presidente è stato piuttosto prudente. In quanto socialista non vuole scontentare i suoi elettori funzionari statali. Inoltre gli economisti gli hanno consigliato di essere prudente. Con la crescita nulla del 2012, giustificate considerazioni keynesiane richiedono di non ridurre troppo le spese pubbliche. Altrimenti la Francia avrebbe rischiato come l’Italia di sprofondare nella recessione. La richiesta a Bruxelles di altro tempo per rientrare nei parametri di Maastricht era legittima e del resto è stata accettata.

Ideologia keynesiana

Così questa politica, in cui si mescolano pregiudizi contro i ricchi, un’ideologia keynesiana e considerazioni elettorali, ha dato vita allo “shock fiscale” del 2012: 30 miliardi di euro di imposte. Ma in un paese dove le tasse e i prelievi di vario genere sono già molti alti, questa politica ha acceso la miccia della rivolta fiscale. Nel 2013 un terzo degli sforzi ha riguardato una riduzione delle spese, mentre i rimanenti due terzi sono stati ottenuti attraverso il prelievo fiscale, e questa volta non solo sui ricchi ma su tutti, compresa la classe media.

Nel 2014 il governo spera che l’economia ricomincerà a crescere, le considerazioni keynesiane saranno meno pressanti e l’80 per cento degli sforzi riguarderà i risparmi mentre il 20 per cento le imposte. Nel 2015 Hollande ha promesso che il 100 per cento della politica di rigore riguarderà la spesa.

In questo caso in tre anni la svolta sarà totale, Hollande arriverà infine a una sana linea di politica economica basata sulla competitività e sulla riduzione strutturale della spesa. Ma l’ambiguità è durata troppo a lungo e la “pedagogia” è stata assente. Da un lato abbiamo una maggioranza che tutti i giorni critica e rimprovera un presidente socialdemocratico; dall’altro un clima di scontento fiscale che rasenta l’insurrezione.

Che cosa può fare Hollande? Anche a costo di prendere in contropiede il Ps e la sua maggioranza, il presidente dovrebbe accelerare sulla nuova strada intrapresa. La competitività francese non è ancora sicura, e di conseguenza bisogna andare più lontano. La riduzione delle spese dovrebbe essere l’occasione per rendere più efficienti i servizi pubblici

Hollande voleva essere socialdemocratico? Allora che lo sia veramente. Il corpo politico e sociale sono esasperati.

Traduzione di Andrea De Ritis


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