Spie e «monitor» di sistema

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Sottile quanto sostanziale differenza tra le due attività, e non certo solo lessicale, dato che dietro queste modalità di indagine ci sono obiettivi complementari ma non immediatamente sovrapponibili.
Si «spia», infatti, ciò che si vorrebbe conoscere, osservando segretamente la natura di quello che, meglio, si deve comprendere. Spiare deriva dalla radice sanscrita «spac-» che significa, appunto, osservare, indagare a fondo ma prudentemente, fuori dalla portata del fenomeno; un termine che rimanda al latino specio, da cui anche il nostro «specioso», dunque ciò che è bello, o buono, o valido, ma solo in apparenza.
Lo spionaggio serve così a capire la realtà ed ad accumulare gli elementi per meglio manipolarla, eventualmente organizzarla, ma all’insaputa di chi viene studiato; il che dà un indubbio vantaggio: quello della segretezza in specifico.
Monitorare, invece, ha una radice affatto diversa; deriva dal latino «monitus» e dal verbo corrispondente. Per capirci, nell’antica Roma il «Monitor» era colui il quale sorvegliava i giovano atleti che si allenavano nel campo di Marte, o quello che suggeriva la battuta agli attori, ma anche colui il quale suggeriva ai popolani i nomi dei candidati giusti alle cariche pubbliche.
Ancora oggi, nelle scuole dette di «mutuo insegnamento» così si chiama l’allievo che ha ricevuto direttamente l’insegnamento dal maestro, ed è incaricato a sua volta di comunicarlo ad un certo numero di altri allievi.
«Monitore» è anche quella parte dei quotidiani che si occupano di formare opinione politica. In generale, dunque, il «monitoraggio» è una attività che indirizza e segue il regolare svolgimento di un qualcosa e che, in caso di devianza, ammonisce appunto, amministra il monito, cioè l’avvertimento di rientrare nei ranghi, e la conseguente sanzione. Ecco allora che spiare e monitorare sono attività diverse, poiché il sistema di controllo ha estremo bisogno sia dell’una che dell’altra. Con la prima si indaga discretamente la realtà, con la seconda si verifica che il piano messo in atto venga eseguito dagli ignari monitorati e, se del caso, li si sanziona.
In altre parole, sarebbe possibile la permanenza di una modello biopolitico iperliberista, quasi totalmente finanziarizzato, senza il monitoraggio continuo che gli ordini impartiti ai singoli consumatori o alla dirigenza politica non vengano quotidianamente seguiti? Quale scostamento dal «programma» è accettabile in un sistema sempre più esposto alla crisi di consenso che esso stesso produce? Monitorare, infatti, significa anche individuare in tempo utile le devianze e correre ai ripari.
Lo scorrere dei capitali non può permettersi ristagni, siano essi di tipo politico, economico, sociale. Ogni ostacolo alla meccanica dei flussi finanziari deve essere rimosso in tempo utile alla correzione.
Così il «monitoraggio» ci dice qualcosa di più profondo, ed inquietante, del «semplice» spionaggio. Ci dice che ci sono parametri da monitorare: ciò con i quali comparare i nostri comportamenti ed eventualmente farceli rientrare. Questa è una componente fondamentale del monitoraggio: non si può monitorare ciò che prima non si è provveduto a quantificare con un indicatore oggettivamente verificabile.
E dunque, politicamente, oltre a chiedere chi veniva «monitorato», ed in base a quali parole chiave, la vera domanda è: quali sono i parametri di riferimento che fanno scattare la sanzione? E di che sanzioni stiamo parlando? Sono queste le domande sensate da porre alla Nsa o a chi la utilizza.
Solo rispondendo a questi interrogativi possiamo disarticolare la rete che ci avvolge e liberarci dal controllo del Nuovo Grande Fratello.


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