by Sergio Segio | 29 Ottobre 2013 7:18
ROMA — Adesso è tempo di pensare al partito. Del governo ci si occuperà, ma a tempo debito. «Nessuno – spiega Renzi ai suoi – vuole fare la guerra a Letta. Ma le larghe convergenze sono un fatto contingente e noi guardiamo al futuro. Che è bipolare. Perciò io non farò il guastatore, darò il mio appoggio all’esecutivo, anche se, ovviamente, non sarà un appoggio acritico. Solo su una cosa voglio essere chiaro: se qualcuno pensa di tornare al proporzionalismo io mi inc… di brutto».
Messaggio ricevuto. Dal Senato il capogruppo Zanda annuncia che il Pd propone il doppio turno, mettendo definitivamente la parola fine al lavorìo proporzionalista di Anna Finocchiaro e, di fatto, affossando il possibile inciucio di palazzo Madama. Il che consentirebbe, proprio come vuole Renzi, di ripartire con la riforma elettorale dalla Camera. Del resto, come aveva anticipato Paolo Gentiloni, «da ora in poi l’agenda del Pd la detterà Matteo». Il quale Matteo si sta occupando con il suo staff del partito. Intanto medita di chiudere la sede attuale, quella di Largo del Nazareno. E’ troppo grande, dispendiosa e inutile. Tanto più che lui starà più spesso a Firenze che a Roma. Nella capitale ci sarà una segreteria nuova di zecca, che però non resterà tutto il tempo nel chiuso delle segrete stanze. L’ideale sarebbe poter spostare la sede del Pd fuori dal centro storico. Anche quello sarebbe un segnale di novità. Ma è difficile bisogna trovare il posto. Occorrerà anche fare un po’ di ripulisti in giro. In modo soft, naturalmente, senza imposizioni, ma non possono esserci casi Crisafulli sparsi nel territorio. Che partito è quello? Non certo il partito che immagina Renzi. Per lui «il Pd è la Leopolda e la Leopolda è il Pd». Insomma, per dirla con Gentiloni, «chi credeva che la carica eversiva di Renzi uscisse ridotta esce rassicurato: la Leopolda cambierà verso al Pd e non sarà il Pd a contaminare la Leopolda».
Del resto, è lo stesso Renzi che ci tiene a ripetere: «Io non sono cambiato, io sono quello di sempre». Anche se ha capito che deve alternare i toni poco rassicuranti dei Serra e dei Pif con quelli più soft che si incarica lui stesso di interpretare: «L’agenda del governo e quella del partito sono compatibili e poi so bene che gli italiani non hanno nessuna fregola di andare a votare dopo così poco tempo dalle ultime elezioni. Il mio obiettivo sono le europee e le amministrative. Per me sono una prova importante, su cui si misurerà per la prima volta la mia leadership». E ai suoi, per gasarli, il sindaco di Firenze ripete sempre: «Guardate che è anche una sfida generazionale la nostra e non possiamo assolutamente fallire». Ed è sempre Renzi, uno e bino, che alla Leopolda dà spago a Pif che spara su Bindi e Crisafulli, ma nel contempo si preoccupa che i presenti non fischino Epifani. Anzi lo aiuta quando il segretario, sbigottito, gli chiede: «Che devo rispondere ai giornalisti che mi domandano per quale motivo non ci sono i simboli del Pd?». Potrebbe rispondere con le parole di Funiciello: che «è in atto una “leopoldizione” del partito», ma sarebbe troppo complicato.
Questo Renzi che pensa già alla nuova organizzazione del Pd e dei gruppi parlamentari e che studia le tappe del suo tour elettorale per le primarie (potrebbe provare tre puntate difficili come Lampedusa, il Sulcis e l’Ilva di Taranto, con i rischi e i possibili fischi che comportano), ultimamente compulsa i sondaggi con sempre maggior interesse. L’ultimo non gli dà una percentuale altissima. Lo attesta al 65 per cento. Ma dà a Gianni Cuperlo solo il 22. Ed è questa la ragione per cui i sostenitori di quest’ultimo ieri si sono riuniti per cercare di correre ai ripari. Raccontano che in Puglia D’Alema, per spronare la gente a votare «l’amico Gianni», dica che con un successo oltremisura di Renzi potrebbe esserci il rischio di una scissione, mentre a Roma spieghi che ha intenzione di andare da Renzi per trattare con lui sulla base del consenso ricevuto da Cuperlo. Per questa ragione il 22 non basta. Ma i dalemiani non disperano: nei circoli, dicono, non stiamo andando male, alle primarie non andranno a votare più di due milioni di persone e alla fine la bipolarizzazione tra Gianni e Matteo, penalizzerà gli altri due candidati e favorirà Cuperlo.
Sarà anche vero ma Renzi è convinto che il Pd diventerà la Leopolda. O viceversa. Anche perché ormai sono sempre di più gli elettori pronti a sottoscrivere le parole della moglie del sindaco, che alla kermesse ha fatto una fugace apparizione, tenendosi distante con l’ironia e l’indipendenza che la contraddistinguono. Occhio intelligente, sguardo vivace e lingua affilata: «Spero che le cose cambino davvero, siamo troppo stanchi e arrabbiati».
Maria Teresa Meli
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