«Einstein», un’antenna per spiare Berlino

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WASHINGTON — Gli agenti sono arrivati all’ambasciata americana di Berlino sotto innocue coperture. Alcuni accreditati come tecnici per le comunicazioni del dipartimento di Stato, altri come normali funzionari. Nelle valigie diplomatiche qualche documento, computer e materiale elettronico preparato in certi laboratori. Una volta all’interno della sezione «sicura» si sono messi al lavoro per preparare il loro arsenale. Poi lo hanno montato. Infine lo hanno sistemato in posizione: «Einstein», questo il nome in codice dell’antenna, era pronto per seguire Angela.
Gli investigatori tedeschi ritengono che i sensori siano stati nascosti sul tetto della stessa rappresentanza diplomatica, camuffati da una delle tante strutture presenti. Non è facile capire se sotto un pannello ci sia una condotta o invece un’antenna pronta a raccogliere le parole pronunciate dentro gli uffici frequentati dalla cancelliera Angela Merkel. In linea d’aria non troppo lontani. Certamente alla portata del Grande Orecchio messo in campo dagli uomini dello Special Collection Service, l’unità che raccoglie le spie della Nsa e della Cia. Un’alleanza in nome del fine. Collaborano in tanti scacchieri, anche se sono note le rivalità e le gelosie. Mica storie recenti. La ruggine è vecchia e non la raschi via.
Dalla postazione avanzata hanno seguito i colloqui — così dicono i files resi noti da Edward Snowden —, captato conversazioni telefoniche, sorvegliato la numero uno e probabilmente i suoi consiglieri, fatto a pezzi i codici criptati. Una filatura iniziata però ben prima che Angela diventasse la Merkel. Le ultime rivelazioni sostengono che tutto sarebbe iniziato nel 2002. Ed è possibile che all’epoca gli agenti dello SCS si siano affidati a metodi più tradizionali non dovendo superare particolari ostacoli.
Quando l’agenzia di spionaggio elettronico americana entra in azione ha i suoi protocolli. Intanto compie una ricognizione preliminare. E l’unità «F6» — abbreviazione per indicare gli 007 — verifica diversi elementi: 1) Quanto è complicato piazzare delle microspie? 2) Siamo in grado di farlo in modo diretto affidandoci agli «idraulici», ossia gli operativi che si intrufolano in un posto? 3) In alternativa c’è qualcuno che può farlo per noi in cambio di favori o denaro? 4) Se vogliamo osservare da posizioni «passive», quali sono i punti migliori? Le valutazioni portano delle risposte, la tecnologia (immensa) a disposizione determina il seguito, le esperienze del passato aiutano a schivare gli errori.
Agire a Berlino per gli americani presenta problemi minori. E la stessa cosa è nelle decine di capitali dove lo SCS ha mandato i suoi team. Che non sono una presenza speciale, ma fanno parte dell’organigramma di qualsiasi ambasciata. Cambia solo la consistenza del nucleo, un numero variabile in base alle necessità. La lunga Guerra Fredda, poi la campagna anti terrore hanno consentito all’intelligence di mettere radici, di conoscere il territorio, di creare più reti. Magari ne sacrifichi una per tutelare quella più profonda sperando che i tuoi rivali abbocchino. La Porta di Brandeburgo, il vicino Check Point Charlie, l’ambasciata e il palazzo del potere sono diventati «un quadrilatero dello spionaggio» dove gli americani non hanno giocato in trasferta. E a tutto questo si sono aggiunti i mezzi con prestazioni illimitate e talvolta impensabili.
Di certo si è trattato di un compito meno rischioso rispetto ad altri. In questi anni le «talpe» hanno incastonato finte pietre (in realtà antenne) sulla costa dove regnano i pirati somali o nelle gole infestate dai talebani. E poi ancora in alcuni ambienti che in teoria dovrebbero essere bonificati. Ma l’high tech fa miracoli. Con «cimici» alimentate da batterie al litio di lunga durata e attivate/spente dalla lunga distanza con un semplice colpo di radiocomando. Bisogna solo essere pazienti. Al resto ci pensano a Washington, garantendo risorse, copertura politica e autorizzazioni. Così l’Nsa ha fatto il pieno di dati, mettendo alla prova i propri sistemi contro le difese dei leader mondiali, non sempre prudenti. In Italia ne abbiamo avuto più di un esempio.
Quando sono apparse le rivelazioni, la società che ha curato la sicurezza per i telefoni della Merkel ha negato che fossero stati «compromessi». Però fonti vicine al governo hanno ammesso l’insofferenza della Merkel verso i cellulari criptati e come sia affezionata al suo vecchio apparecchio. Stessa cosa per diversi ministri che — stando alla stampa locale — hanno passato i cellulari protetti ai loro collaboratori. Questi dettagli svelano solo una parte dei lati deboli esposti agli attacchi dello SCS.
Il controspionaggio tedesco Bfv, comunque, sapeva e sa dove cercare. Alla fine di agosto un elicottero ha sorvolato a lungo l’isolato dove sorge l’ambasciata Usa a Berlino. L’equipaggio ha scattato foto, esaminato dettagli del tetto, cercato delle anomalie sull’edificio. Un’indagine a bassa quota per scoprire se un cilindro argenteo nascondesse il segreto degli agenti venuti da lontano. E non era una caccia al buio, a guidarla c’erano i documenti sottratti da Snowden ai suoi ex datori di lavoro.
Guido Olimpio


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