A Torino l’assise della Fiom. Landini: «Governo assente»
Come? «Durante l’esecutivo Berlusconi, il premier invitava a votare sì al referedum; il premier Monti aveva, di fatto, aperto la sua campagna elettorale, nello stabilimento di Melfi. Il governo Letta non solo non chiede conto alla Fiat di cosa vuole fare in Italia, ma sta sostenendo le scelte di depotenziamento della struttura industriale del Paese che riguarda non solo il Lingotto ma tutto il settore metalmeccanico».
Manca una politica industriale. E questa assenza «ha provocato negli ultimi anni un calo del 30% degli investimenti». Che fare, allora? Bisogna rimettere in campo, secondo Landini, «un’azione che difenda i diritti e l’occupazione e, anche, tutta la Cgil deve farsene carico, sapendo che in Fiat questo significa fare i conti con una divisione sindacale forte». I 150 delegati Fiom si sono ritrovati per due giorni al Campus Einaudi in assemblea (con studiosi come Gallino, giuristi come Alleva e politici come Mucchetti e Airaudo). La prima dopo il rientro in fabbrica dei metalmeccanici Cgil, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale che ha riaperto i cancelli al sindacato estromesso. Dal referendum in poi, la Fiom ha fatto una scelta di libertà, perché – ha detto Michele De Palma, responsabile Auto Fiom, citando Theodor Adorno – «la libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta».
La sentenza e il rientro in Fiat dei delegati hanno segnato uno spartiacque ma non il disgelo con il Lingotto, che continua a escludere la Fiom dai tavoli sindacali. Fiom lancia una road map reclamando una legge sulla rappresentanza (Giorgio Airaudo, Sel, ha precisato che «si dovrà fare dopo una discussione in parlamento e non per decreto») che dia piena attuazione alla sentenza e all’accordo del 31 maggio. Che recuperi pari dignità per i delegati. E denuncia il comportamento discriminatorio della Fiat che il 4 settembre ha sancito un accordo con Fim e Uilm escludendo ancora una volta la Fiom. Poi, chiede al governo di imporre al Gruppo un «definitivo chiarimento sul futuro».
Fabbrica Italia con i suoi 20 miliardi di investimenti è un ricordo. «Il governo – spiega De Palma – porti la Fiat a giocare a carte scoperte. Rispetto alle previste 1 milione e 400 mila auto per il 2014, il Lingotto ne ha prodotte tra le 390 e le 350 mila. Né questi volumi né il polo del lusso tra Grugliasco e Mirafiori garantiranno l’intera occupazione che noi chiediamo in tutti gli stabilimenti. La qualità della produzione è peggiorata e vorremmo una verifica delle condizioni di salute e sicurezza nelle fabbriche». Per Federico Bellono, segretario torinese, con una Fiat che non garantisce l’occupazione è ora di rompere il tabù del monopolio: «Vediamo interesse di costruttori stranieri, tedeschi in particolare, rispetto alla nostra componentistica. Non dobbiamo disperdere questo capitale».
Landini invoca, infine, per uscire dalla crisi «un piano straordinario di investimenti pubblici e privati nella mobilità, nei trasporti e nelle telecomunicazioni». E a proposito dello sciopero di metà novembre, proclamato da Cgil, Cisl e Uil contro la legge di stabilità, sfida gli altri a riaprire il confronto: «Fiom, Fim Uilm convochino le assemblee unitarie per preparare la mobilitazione».
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