Stabilità politica, rigore e riforme così la Spagna è tornata a crescere

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MADRID — All’inferno e (forse) ritorno. «La recessione in Spagna è finita», annuncia urbi et orbi la Banca centrale di Madrid, celebrando — chi si contenta gode — un anemico +0,1% del Pil dopo nove trimestri in rosso. Vola la Borsa (+ 25% da inizio anno), crolla lo spread: i Bonos sono a 240 punti dai Bund — un anno fa erano a 685 — meglio dei nostri Btp. «La crisi è alle spalle. Sul paese piovono soldi da tutto il mondo!», ride felice Emilio Botin, nume tutelare del potentissimo Banco Santander.
La fiesta può iniziare. Non fosse che gli unici a non aver voglia di festeggiare sono gli spagnoli. «Meglio lasciare lo champagne in fresco — scherza Ana de La Calle, dirigente della Ong Mensajeros de la Paz (Mdp) — . Gli economisti possono raccontarci tutte le favole che vogliono, ma qui il problema è ancora comprarsi pane e acqua!». Il copione è lo stesso in scena in queste settimane in Grecia e Portogallo: i conti della Troika e dei falchi dell’austerità iniziano a tornare. Quelli di chi fatica a mettere assieme pranzo e cena no. «L’euforia è fuori luogo — dice Padre Angel Garcia, mediaticissimo volto dei Mensajeros — . Ho vissuto la guerra e non avrei mai immaginato di tornare ad abitare in un paese dove i bambini sono costretti a mangiare alle mense sociali». Eppure, con buona pace di Botin & C., è ancora così: quella di Padre Angel di fronte agli ippocastani ingialliti di Plaza Vara de Rey, pieno centro di Madrid, ne accoglie un centinaio a sera. «E il loro numero continua ad aumentare» garantisce Ana. Se la “New Spain” — copyright di un entusiastico report fresco di stampa di Morgan Stanley — è questa, il rischio che molti rimpiangano quella vecchia è altissimo.
«La verità? Sta a metà strada — spiega Andrea Giuricin, che dopo un’esperienza da docente a Barcellona è ora professore a Milano Bicocca — . La Spagna grazie a governi meno fragili delle nostre larghe intese ha fatto molti passi avanti, più dell’Italia. La degenza però non è finita ». Il Pil non è l’unico sprazzo di luce: i prezzi delle case, crollati del 40% in sei anni, «sono tornati a crescere in venti città», assicura un rapporto del Banco Sabbadel. E Bill Gates, uno che il vento lo sa fiutare, si è appena comprato il 6% di Fcc, ex-stella immobiliare (oggi molto cadente) della “Burbuja del Ladrillo”, la bolla del mattone. Bel tempo segna anche un barometro sensibile come il via-vai delle navi dai moli di Barcellona: ogni quattro container in arrivo ne partono sei pieni come uova, l’opposto di cinque anni fa. «Merito delle nostre riforme — si applaude da solo il ministro all’economia Luis De Guindos — . I produttori d’auto rilocalizzano la produzione qui dall’Asia ». L’export, in effetti, vola (+6,6% nel 2013) grazie a un costo del lavoro calato dell’11% dal 2009, contro il +3,5% di quello italiano.
Un po’ di rondini, però, non bastano a far primavera. «A far quadrare i conti così ero capace anch’io — si scalda Jorge Canizares uscendo dal serpentone di manifestanti in piazza contro la riforma dell’istruzione — . Hanno congelato gli stipendi pubblici, tagliato pensioni e servizi
sociali, eliminato 25mila insegnati alzando del 67% le rette dell’università». Lui è tra gli esuberi. E oggi (è la nemesi della crisi dei debiti sovrani) è pronto a far le valigie e trasferirsi in Ecuador — madrepatria degli immigrati che hanno costruito il boom del ladrillo — dove Quito, a corto di manodopera qualificata, è alla disperata ricerca di 5.500 insegnati.
Il premier Mariano Rajoy, uomo prudente, vola basso. «Siamo fuori dalla recessione, non dalla crisi» ripete. Meglio stare con i piedi per terra. La disoccupazione è calata ad agosto di 70mila unità solo grazie ai lavori stagionali ma viaggia al 25,98%, area dove, dice l’Fmi, rimarrà fino al 2018. «Mi sono laureata in lettere nel 2011 e da allora ho preso uno stipendio solo per tre mesi — racconta la 25enne Helena Segovia in Puerta del Sol — . Qualche tempo fa ho risposto a un annuncio del Prado che assumeva 11 guardiani per il museo. Sa in quanti ci siamo trovati in fila? 18.524!». Chi può scappa all’estero. Solo nel 2012, 420mila ex immigrati hanno alzato bandiera bianca e sono tornati in patria. E 14mila ragazzi spagnoli tra i 14 e i 30 anni (il 40% in più del 2011) sono andati a cercar fortuna oltrefrontiera.
«La verità è che questa recessione ha bruciato 7,5 punti di pil e 3,8 milioni di posti di lavoro. E alla fine i ricchi ne escono più ricchi e i poveri più poveri. Serve un massiccio piano di investimenti pubblici e bisogna sbloccare il credito alle imprese», dice tranchant Simona Levi, registra teatrale e attivista che oggi è l’anima del Partido X, la rampantissima formazione politica (i sondaggisti la danno al 15%) nata dalla costola degli Indignados. La pioggia d’autunno bagna una grigia Madrid. Jorge — che ha la testa già al caldo dell’Ecuador — scende per ripararsi nella metro. «Ottimista? No, spero solo in un colpo di fortuna ». Anche la dea bendata, però, non è più quella di una volta. Il biglietto vincente di una delle ultime lotterie nazionali (valore 4,2 milioni di euro) è stato venduto in un quartier popolare di La Coruna. Come in una favola. L’unico problema è che l’acquirente l’ha dimenticato al bancone del bar. Sono segni. Nella Spagna di oggi, malgrado quel timido più davanti al Pil, non è ancora il momento per sognare.


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