by Sergio Segio | 27 Ottobre 2013 7:48
Essa ha affermato la competenza degli Stati nella determinazione del rapporto, ma ha al contempo evidenziato la necessità di un «legame genuino» al fine del riconoscimento internazionale del rapporto stesso. Nella fattispecie veniva messa in discussione la naturalizzazione, da parte del Liechtenstein, del signor Nottebohm, il quale non aveva alcun legame concreto con il Paese in questione ma si era limitato a pagare la relativa tassa, aveva cioè acquistato la cittadinanza di quel Paese, la quale entrava in considerazione al fine di valutare la legittimità delle misure disposte dal Guatemala contro di lui in quanto ritenuto in realtà cittadino tedesco. La Corte ha risolto il problema distinguendo due aspetti. Il primo riguarda il rapporto tra l’individuo e lo Stato che, in un modo o nell’altro, per una ragione o per l’altra, si decide a concedergli la cittadinanza. (…) Se questo aspetto assume rilievo essenzialmente interno, diverso è il discorso per quanto riguarda il rapporto di protezione diplomatica fondato sulla concessione della cittadinanza, che intercorre fra gli Stati e assume quindi rilievo internazionale. È nella soluzione di questo problema che essi hanno elaborato dei principi volti a legittimare o meno l’attribuzione della cittadinanza. (…)
Detti principi consistono nella necessità della sussistenza di un «legame genuino» fra Stato e individuo. (…) Lo Stato quindi è tenuto a riconoscere, ai fini dell’esercizio della protezione diplomatica, solo quel rapporto di cittadinanza che si basa su un «legame genuino». Ma è possibile ipotizzare che l’esistenza di quest’ultimo obblighi lo Stato a concedere la cittadinanza all’individuo nei confronti del quale esista detto legame? È possibile oggi ipotizzare che la sussistenza del «legame genuino» abbia effetto, oltre che per lo Stato terzo in ipotesi tenuto a riconoscere il rapporto di protezione diplomatica, anche per lo Stato nei cui confronti il «legame genuino» sussiste, obbligando tale Stato a concedere la propria cittadinanza all’individuo con il quale il legame in questione sussista? Dare risposta positiva a questo quesito contraddice evidentemente il principio della discrezionalità dello Stato nella configurazione del proprio rapporto di cittadinanza. (…)
È anche importante sottolineare come tale limite operi sia rispetto al potere dello Stato di concedere la propria cittadinanza sia a quello di non concederla. Non è chi in effetti non veda come sarebbe scarsamente giustificabile l’atteggiamento di uno Stato che si ostini a negarla a persone che sono nate sul proprio territorio da genitori ivi residenti o che vi hanno lavorato e risieduto per vari anni. (…)
Se risulta eccessivo affermare che lo Stato sia obbligato a concedere la propria cittadinanza alle persone che hanno un legame stabile con il proprio ordinamento, si deve rilevare una tendenza basata sull’infittirsi dei rapporti conseguente al fenomeno della globalizzazione e sulla conseguente necessità di riconoscimento reciproco di rapporti di appartenenza di individui a determinati ordinamenti il più possibile fondati su «legami genuini».
Questo testo è un’anticipazione del libro «Immigrazione, asilo e cittadinanza universale» (Editoriale scientifica Napoli, pagg. 488, euro 30), curato da Fabio Marcelli
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